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La Torre di Babele

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LA TORRE DI BABELE

Babele, dove si confusero le lingue degli uomini

   Racconta il Libro della Genesi che un bel giorno gli uomini pensarono di fondare una città e di costruirvi una torre altissima, la cui cima toccasse il cielo, con lo scopo di “farsi un nome e non disperdersi sulla faccia della terra". Ma a quanto pare la loro idea non piacque al buon Dio che, manco a dirlo, scese e confuse le loro lingue, così che non si capissero più l’un l’altro.
  L’umanità, divenuta incapace di comunicare, dovette rinunciare al proprio progetto. La torre «la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.» (Gen. 11, 1-9)
la Torre di Babele (Bruegel)

I cancelli di Dio

  L’interpretazione classica di questo episodio è un tantino superficiale. E, come al solito, mette in cattiva luce il Signore Iddio. Non si sa bene per quale motivo, nell’Antico Testamento viene mostrato spesso come un nemico dell’uomo, o comunque come uno che vuole fermarlo a tutti i costi. Così, proprio come Adamo ed Eva furono puniti per aver assaggiato i frutti dell’albero piantato di fronte a casa, anche qui pare che Dio abbia voluto condannare gli esseri umani che pretendevano di toccare il cielo.
  Possibile? Siamo sicuri che le cose stiano proprio così? Proviamo ad osservare l’episodio partendo dalle parole.
  Nei testi originali Babele è Bab-ili, che significa letteralmente “I cancelli di Dio”, o anche “Porta del Dio”. Innalzare la torre di Babele, dunque, vuol dire arrivare in prossimità di quei cancelli. Vuol dire avvicinarsi alle porte di Dio, là dove si comincia a intuire qualcosa della divinità e del suo creato. Ma, a pensarci bene, questo avvicinarsi non è proprio ciò a cui vorrebbe condurci la religione, quando invita ad elevarci attraverso la fede e la preghiera e le buone opere? Non è esattamente ciò a cui aspira ogni forma di spiritualità? E allora perché il buon Dio dovrebbe impedirlo?

La conoscenza non può essere impedita

  La torre di Babele, in realtà, non è altro che l’edificio costruito dal pensiero umano. Un pensiero che ondeggia continuamente tra la fede e il rifiuto, tra il sapere e l’ignorare, tra la fiducia di poter arrivare a comprendere qualcosa di Dio e la tentazione di denigrarlo. Gli uomini che hanno in animo di costruire una torre così alta sono, appunto, quelli che credono in un Creatore e nella possibilità di raggiungerlo in qualche modo, per vederlo più da vicino. Non fisicamente, è ovvio, ma con la forza della conoscenza, che diviene man mano più ardita grazie al buon uso del pensiero.
  Sono i seguaci della conoscenza, i fautori della ricerca personale e spirituale, coloro che desiderano arrivare in alto. Perché il pensiero non ha limiti. Con esso si possono sondare i nessi tra gli uomini e il creatore, tra la terra e il cielo. Non possiamo credere, perciò, che lo stesso Dio abbia voluto abbattere una simile costruzione. Non sarebbe nemmeno possibile: la conoscenza non può essere impedita, e tantomeno annientata: prima o poi riemergerà in qualche forma.
  Eppure la torre di Babele non fu portata a termine. Chi o che cosa, dunque, la fece crollare?
  La verità è che non vi è opera umana che regga al tempo. Il mondo è in continua evoluzione, tutto cambia e si trasforma, e così pure la nostra vita. Neanche le costruzioni di Madre Terra sono perenni: qualunque cosa segue il suo ciclo e poi si dissolve. In fin dei conti, ciò che appartiene al mondo della materia è per sua natura impermanente. Ciononostante le nostre azioni contribuiscono ad imprimere una direzione a questi cambiamenti. E a volte determinano delle vere e proprie svolte.

La ragnatela universale che collega ogni frammento

 La maggior parte degli uomini si limita a tirar su la propria esistenza, o una parvenza di essa. A volte la struttura somiglia a un bel palazzo, molto più spesso ad una capanna. In pochi si rendono conto che il modo in cui scolpiscono la propria personalità, formano il proprio nucleo familiare, interagiscono nel proprio ambiente, contribuisce nel bene o nel male ad innalzare l’intero edificio della vita. Ciascuno, impercettibilmente, stabilisce e modifica non solo i rapporti tra pari, ma le connessioni tra tutte le cose esistenti. Qualunque gesto ha delle conseguenze. Perciò le nostre strutture non sono mai qualcosa di isolato. Al contrario, toccano in qualche modo il tessuto in cui il Tutto si muove e si collega. È la legge della ragnatela: se si sfiora un filo, vibra tutta.
  Non abbiamo la minima idea di quanto sia sensibile la rete che unisce ciascun frammento della creazione. Una rete che lega gli esseri viventi ma anche quelli in apparenza non-viventi, come le stelle, i pianeti, le pietre. È simile a quella che esiste anche all’interno del nostro corpo, e che collega organi, cellule, corpi sottili e centri energetici.
  Se fossimo coscienti della ragnatela universale, di certo presteremmo attenzione a come vi camminiamo sopra: a come ci muoviamo, a cosa diciamo, alle forme anche mentali che creiamo e appiccichiamo alla sua struttura.

Non esistono faccende private

  Naturalmente, nemmeno l’inerzia di un singolo uomo costituisce una faccenda privata. È invece qualcosa che intralcia il progresso di tutti. Ad un livello superficiale si può avere un’impressione diversa, ma chi ha un orizzonte più ampio sa che il bene proprio coincide con quello del Tutto e viceversa.
  Ecco perché per realizzare qualcosa di valido si devono conoscere le leggi universali. Leggi che ci vengono mostrate continuamente dalla natura, prima maestra. In fondo sono poche e soprattutto logiche, almeno per una coscienza non offuscata: rispetta ogni cosa, compreso te stesso; sappi che ogni essere vivente è sacro e necessario quanto te, per cui nessuno può essere sfruttato né restare sottomesso ad un altro; tieni a mente che non esistono gerarchie; ricorda che ciascuna cosa è stata creata in funzione e in relazione all’altra. E anche noi, singoli individui, siamo venuti al mondo per un motivo preciso.

Costruzioni come castelli di carte

  Qualunque costruzione cela nelle sue fondamenta uno scopo. Ogni movimento è dettato da un’intenzione: senza un proposito, senza un progetto, ci si muove a vanvera. E niente dà forza quanto la consapevolezza del proprio Scopo di vita. Uno Scopo che, per quanto ci riguarda, non sempre è facile da riconoscere. Tantomeno da accettare.
  Abbracciare il proprio destino - inteso come strada personale - comporta la fatica della scoperta, il sacrificio della realizzazione. E sebbene tutti sosteniamo con entusiasmo che è proprio ciò che desideriamo, tra il dire e il fare... c’è di mezzo la paura. Perciò si preferisce ignorarlo, questo destino, e magari attribuirsi altri obiettivi meno impegnativi, arrabattandosi in altre piccole “costruzioni” che non ci daranno grandi soddisfazioni.
  Di solito fissiamo le nostre mete secondo convenienza, scegliendo in base a comodità e vantaggi immediati. Ma questo è anche il modo più semplice per annullarci. Rinnegare il proprio Scopo conduce inevitabilmente ad un fallimento. Pensiamoci bene: in natura non esiste una creatura che si sviluppi seguendo modelli estranei. Il seme sa cosa deve diventare e segue quello schema. Diversamente morirebbe.
  Certo per noi non è altrettanto semplice. Troppe cose ci strattonano continuamente e ci tirano altrove. Così le nostre costruzioni somigliano piuttosto a castelli di carte, che rovineranno a terra al primo soffio.

I mattoni del pensiero e della ricerca interiore

  La Torre di Babele ha un insegnamento profondo da trasmettere: nessuna opera umana è perenne, a meno che non si tratti di innalzare l’edificio della vera conoscenza. A meno che non si tratti di edificare se stessi. Solo le realizzazioni spirituali reggono al tempo, diventando addirittura eterne.
  La torre di Babele non era e non è qualcosa di materiale. Erigendola si può arrivare fino ai cancelli di Dio. Attenzione però: solo ai cancelli. Oltre non è dato, almeno per ora. Ma attraverso il pensiero costruttivo, la conoscenza, la ricerca sincera, ci si può avvicinare all’Altissimo – qualunque cosa si intenda con questo termine.
  Questa torre non può essere fatta crollare dall’esterno, perché niente e nessuno può annientare l’intento di un uomo che vuole elevarsi, che vuole toccare il cielo. È un’opera che non può essere fermata, perché si sviluppa dal di dentro. Tutt’al più, l’uomo può non costruire nulla. Se intraprende un cammino e poi si ferma, non ha edificato ma nemmeno abbattuto qualcosa.
  La torre di Babele viene innalzata coi mattoni del pensiero e della ricerca interiore. Ovviamente se questi non sono di buon materiale, quando cioè i nostri scopi non sono puri, non reggeranno il peso dell’edificio. La torre crolla quando, dentro di sé, il male arriva a prevalere sul bene, quando l’ignoranza e la chiusura soffocano l’impulso alla conoscenza. Perciò, raccontandoci questa storia, il Libro della Genesi sta descrivendo la rinuncia dell’uomo a progredire ed evolvere. La dispersione delle lingue rappresenta l’inconsapevolezza e il caos che regnano, anche in se stessi, quando i progetti non sono chiari, quando i nostri intenti non hanno una direzione precisa e ci perdiamo in mille rivoli di inconcludenza.

La Torre dei Tarocchi, Maison de Dieu

 Possiamo interpretare il crollo della torre anche in un altro modo. Vi è sempre un momento in cui l’essere umano arriva al “troppo pieno”: ha accumulato nozioni e informazioni e queste, collegandosi tra loro, hanno cominciato a dar vita a delle reazioni a catena. Come in un alambicco, i diversi elementi miscelati cominciano a ribollire, a fumare, a reagire. E l’alambicco non riesce più a contenerli. Così è la mente umana: ad un certo punto le certezze, le saggezze consolidate (vere o presunte), le costruzioni di pensiero non reggono più, perché sono cresciute. Oppure si sono esaurite, non sono più funzionali. Allora crollano, così da lasciar spazio a qualcosa di nuovo.
  Questo processo è ben simboleggiato dalla Torre dei Tarocchi, la XVI lama degli Arcani Maggiori denominata, non a caso, “Maison de Dieu”. Il passaggio non è certo piacevole, ma è necessario. Qualcosa di logoro e di limitante, ormai superato, viene distrutto o si auto-distrugge, affinché possa manifestarsi altro e lasciar venire alla luce un uomo nuovo.

Un nome che dura nel tempo

  Naturalmente il mito della Torre di Babele ha ulteriori chiavi di lettura. Così come la cacciata dall’Eden, descrive anche un particolare momento dell’evoluzione terrena. Qui ci interessa però soffermarci sulla prospettiva interiore, perché ogni personaggio biblico può essere visto come un nostro modo di essere, un momento del nostro agire, la mentalità che ha caratterizzato un’epoca della storia individuale.
  Gli abitanti di Babele desideravano “farsi un nome”. E il nome, con tutto ciò che vi è legato, è proprio ciò che resta di alcuni uomini dopo la loro morte. Un sigillo immateriale che racchiude in sé il significato, e gli effetti, di quel che hanno saputo costruire nel tempo messo a loro disposizione.
Maria Antonietta Pirrigheddu
2011-2020

Vedi anche:
Il Giardino dell'Eden
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