Io sono la luce del mondo
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IO SONO LA LUCE DEL MONDO
Siamo immersi nella luce, sempre
«Io sono la luce del mondo», diceva il Cristo in un famoso passaggio evangelico. Una frase talmente nota che nessuno oserebbe chiederne una spiegazione, per non fare la figura dell’ignorante. A quanto pare però, nonostante tutti cerchiamo la luce e siamo certi di sapere cosa sia, ben pochi sembrano possederla, compresi coloro che dichiarano di seguire il Vangelo. Neanche la religione ci spiega con chiarezza a cosa si alludesse con questa frase.
La realtà è che siamo immersi nella luce, sempre. Per rendercene conto basta aprire gli occhi. La luce del mondo, tuttavia, non parla dello sguardo fisico. Per vedere davvero ci vuole ben altro. Anche perché vedere non basta, se non si comprende ciò che si ha davanti.
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La luce del mondo getta lo sguardo anche oltre
La luce a cui si riferiva il Cristo è in primo luogo quella che permette all’uomo di illuminare l’interno di sé. Solo quando è riuscito a rischiarare gli angoli del proprio essere col lume della coscienza, può scrutare la realtà circostante. Soltanto allora acquista la “vista”. Ed è l’unico a poter azionare il proprio interruttore per accenderla: gli altri, fossero anche i più grandi maestri, possono unicamente indicargli come fare, niente di più. Un insegnante mostra la strada, ma poi percorre la propria.
Neppure è sufficiente avviarsi sul cammino, se non si mantiene viva la lucerna interiore che aiuta a individuare gli inciampi. Coscienza e cuore non hanno occhi, eppure sanno perforare le tenebre.

Che cosa, dunque, si deve imparare a vedere?
Anzitutto ciò che si è. Si tratta di capire cosa si agita dentro di sé, di riuscire a percepire il proprio mondo sotterraneo e, allo stesso tempo, di accettare la propria natura elevata; e poi di sentire il Cosmo, di sviluppare l’attitudine a scorgere il Tutto attraverso la propria anima. La luce del mondo spinge a gettare lo sguardo anche oltre, a intuire la vita che freme nella creazione intera, a lasciarsi travolgere dalla sua bellezza.
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Una definizione nebulosa
Il più grande limite dell’uomo sta nell’incapacità di comprendere cosa è e quel che può diventare. Non sa leggere il libro su cui, giorno dopo giorno, scrive la sua storia. Non gli viene insegnato a sentire l’anima, a decifrare il cuore, ad afferrare i messaggi della coscienza. Ne sa qualcosa solo per sentito dire, vi entra in contatto in modo vago: la sua vita cosciente si svolge prevalentemente a livello fisico e mentale. La luce del mondo è quel raggio che gli rivela le parti sconosciute del sé, quelle di cui non ha ancora fatto esperienza.
La cultura corrente, d’altronde, non aiuta certo a cercare le potenzialità insite nel cuore e nell’anima. La religione ne dà una definizione a dir poco nebulosa, e l’uomo non sa a chi rivolgersi per scoprirne le funzioni. Eppure è più semplice di quel che immagina: gli basterebbe entrare nel proprio intimo e chiedere a se stesso. Schiudendo le porte del santuario interiore, la luce irromperebbe. In presenza della luce troverebbe la chiave per comprendere lo scopo che lo ha portato al mondo.
La luce è per tutti e a tutti viene data ma, poiché non la riconosciamo, restiamo spesso al buio. E l’incapacità di vedere noi stessi ci rende inadatti a comprendere gli altri.
Così, visto che non è consapevole di ciò che è, l’uomo cerca di apparire ciò che non è. Ma quanto più si sforza di mostrarsi candido e altruista, tanto più tende a nascondere dietro la schiena un metaforico pugnale. La lama, affilatissima, si chiama parola.
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Nessuno può dare la luce ad un altro
Sebbene la luce sia a disposizione di tutti, nessuno può darla ad un altro. In tanti si dichiarano portatori di luce, ma anche questa è una forma di inganno e di autoinganno. Una persona saggia potrà indicare al prossimo come rimuovere i veli dagli occhi (o i macigni dal cuore), ma nessuno darà mai la luce ad un altro, perché a nessuno appartiene.
Allo stesso modo, nessuno di noi produce luce. Possiamo solo cercarla, e trovarla, in una scoperta che non ha fine. Ma, dato che vi siamo immersi, non ha senso nemmeno cercarla! L’unica cosa che possiamo fare è aprire gli occhi e lasciarcene penetrare, concedendole di mostrarci l’interno e l’esterno.
Possiamo anche renderci così trasparenti da rifletterla nei nostri gesti e parole. Possiamo diventare delle “lampade” – e in questo senso sì, fonti di luce, purché ricordiamo che essa non è nostra e non proviene da noi: ci attraversa soltanto. Possiamo concedere al nostro frammento luminoso di risplendere, di aprirsi un varco tra i nostri veli più spessi.
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Il buio e la luce fisici sono metafore
Nemmeno si può dire che la luce si possa vedere: a rigor di termini, è invece ciò che consente di vedere. È ciò che mette tutto in evidenza immergendolo nel suo chiarore. Allo stesso modo, la luce interiore permette di scorgere il bene che costituisce il creato. Grazie a lei possiamo passare indenni attraverso il nulla. Perché il buio, in fondo, non è altro che il nulla. Il buio e la luce fisici sono solo metafora.
Una volta compreso tutto questo, possiamo osare a definire la luce del mondo come ciò che
mostra la via della crescita personale
permette di scorgere la verità in se stessi
insegna la compiutezza della vita.