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Nel peccato mi ha concepito mia madre

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NEL PECCATO MI HA CONCEPITO MIA MADRE
  «Nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre».
  È un celebre versetto del salmo 50, un mea culpa che viene recitato in svariate occasioni.
  Sono state scritte molte pagine di commento a questo testo, per cui non parrebbe necessario fermarsi ulteriormente ad analizzarne il contenuto... e invece vale la pena riflettere un pochino sugli effetti di certe parole.
  «Nella colpa sono stato generato». Ovvero: ancor prima di nascere ero già sporco e impuro. Possibile? Ebbene sì, purtroppo. Ma perché?
  Anzitutto perché sporco e impuro era l’atto con cui mia madre mi ha concepito. Un atto che viene definito appunto una “colpa”, forse perché rinnega la condizione considerata più elevata, quella della verginità. E poi perché impuro è ogni bambino, che quando viene al mondo è già deturpato da una macchia primordiale: il peccato originale.
  Le due cose sono strettamente collegate. Per secoli, infatti, il peccato originale (quello commesso da Adamo ed Eva nel Giardino dell’Eden) è stato assimilato al congiungimento carnale: si riteneva che la famosa mela rappresentasse l’atto sessuale, che non doveva essere consumato nonostante da qualche altra parte risuonasse il comandamento «Crescete e moltiplicatevi». Ora quest’idea è stata ufficialmente abbandonata; eppure rimane ancora, almeno come dubbio, in molte menti candide.
  Grazie a questo errore ancestrale, compiuto da due sprovveduti, fino a qualche tempo fa i bambini che morivano senza essere battezzati andavano a finire in un posto nebuloso, dove non avrebbero sofferto ma nemmeno conosciuto la felicità: il famigerato limbo. Condannati in eterno a non essere né carne né pesce, a non stare né bene né male, ma soprattutto a non avere mai la grande gioia di vedere il volto di Dio. Quel Dio che li aveva spediti lì per un misfatto non loro, e che mai li avrebbe liberati. Alla faccia della misericordia!
  Ora il limbo è stato abolito, non da Dio ma da chi lo rappresenta e ce ne comunica i voleri. Ma cosa trasmettiamo tuttora, quando insegniamo che ogni bambino nasce con l’anima macchiata e ha bisogno del battesimo per essere perdonato? Perdonato da che cosa? E se non gode di questo lavacro cosa gli succede? Resta impuro per tutta la vita?    
  Oggi riusciamo ad ammettere che Adamo ed Eva siano due figure simboliche. In realtà c’è ancora chi sostiene che siano esistiti davvero e che abbiano mangiato un frutto proibito, conducendo tutto il genere umano alla sofferenza e alla morte. Sarebbe interessante chiedere a queste persone quale grado di ragionevolezza e di buon senso attribuiscono al buon Dio.
  Chi invece ritiene che la storia della cacciata dal Paradiso Terrestre sia metaforica e metafisica, dovrebbe forse domandarsi in cosa consista, allora, il cosiddetto peccato originale. Qual è esattamente la colpa del bambino che viene al mondo? Perché è già contaminato e bisognoso di un lavacro, prima ancora di aver pronunciato una sola parola, di aver formulato il primo pensiero?
  È il peccato di essere nato, di aver ricevuto la vita. Il peccato di esistere. E solo attraverso un rito potrà ricevere l’amore di Dio e un’anima pulita. Diciamoci la verità: ci può essere qualcosa di più artificioso e indegno?
  Il dubbio è che il vero peccato – certo non commesso dal bambino – stia nel voler interpretare a proprio uso e consumo Dio e le sue “leggi”. Ma quali insegnamenti trasmettiamo, etichettandoli come “parola di Dio”? Quanti concetti in contrasto con la natura e con la vita, oltre che contro ogni logica? Se davvero è cambiata la nostra mentalità, perché continuiamo a pronunciare certe frasi?
  «Nel peccato mi ha concepito mia madre».
  Dovremmo chiederci seriamente dove stia il peccato nel generare una creatura. In diverse culture, tuttora, chi partorisce deve osservare un lungo periodo di purificazione. Anche antiche leggende galluresi, peraltro molto suggestive, conservano la memoria di questa velenosa usanza.
  Eppure il concepimento è un atto d’amore, o almeno dovrebbe esserlo. Il peccato, semmai, si commette quando si concepisce senza amore. Peggio ancora, quando si abbandona e o si maltratta il frutto di quell’atto, o quando si continua a pensare che forse sarebbe stato meglio non metterlo al mondo.  Anche quando è solo uno dei genitori a non volerlo ci si macchia di un crimine: perché il piccolo se ne accorgerà fin dal grembo materno, e ne resterà segnato in qualche modo per tutta l’esistenza.
  Sono tanti i bambini che, pur venendo alla luce in famiglie cosiddette normali, nascono in realtà con un solo genitore. E terribili sono gli abomini e gli abusi che ne derivano, anche in Paesi come l’Italia, dove i bambini poco amati – o amati male, o solo da una parte – a causa di leggi sbagliate rischiano di diventare merce di scambio e di arricchimento, in balia di assistenti sociali e giudici minorili senza scrupoli. Certo non sempre, è ovvio, ma succede spesso, e alcuni casi sono raccapriccianti.
  Peccato, peccato grave, è anche quello di permettere il concepimento quando in realtà il bambino non si desidera affatto. Peccato è essere irresponsabili nell’amore creando una vita non voluta, magari per sottostare a certe proibizioni assurde come l’uso della contraccezione. Allora sì, il bambino può dire «Nel peccato mi ha concepito mia madre»
  Ma il concepimento avvenuto nell’amore e nella consapevolezza – indipendentemente dal matrimonio o da qualsiasi altra unione canonica – è vita, gioia,  speranza, non certo peccato. Quando mai un bambino, una nuova vita che si affaccia al mondo, può essere causa di peccato?
  Eppure è ciò che proclamiamo ogni volta che pronunciamo questo versetto.
  Dovremmo domandarci perché ci trasciniamo dietro, anche nelle preghiere, frasi inique e fuorvianti come questa. Perché, se l’autore stava vaneggiando in preda a disperazione o a crisi di coscienza, le etichettiamo come “Parola di Dio”? Quale danno ne riceve la nostra formazione umana, la nostra intera società? Quante volte le parole sono adoperate per manipolare le nostre coscienze! Rendiamoci conto della loro banalità, del loro non-senso, e chiediamoci per quali motivi ce le abbiano trasmesse e spiegate così.
  E se invece cominciassimo a riflettere sulle formule delle nostre devozioni, e magari provassimo a cambiarle usando un po’ di sana ragione? Magari potremmo proclamare, finalmente: «Nell’amore sono stato generato, nell’amore mi ha concepito mia madre». Lasciandoci permeare dagli effetti benefici di queste nuove parole.
Maria Antonietta Pirrigheddu
29.08.13

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