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Sensibilità: la capacità di spostare l'attenzione

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SENSIBILITÀ: LA CAPACITÀ DI SPOSTARE L'ATTENZIONE

 La sensibilità della Mimosa Pudica

  C’è qualcuno tra noi che oserebbe definirsi insensibile?
  Certamente no. Siamo tutti così delicati… Ogni cosa ci tocca, ogni critica ci offende, ogni parola sbagliata può ferirci. Eh sì, abbiamo l’animo sensibile!
  Freud diceva che chi è sensibile attribuisce un’importanza enorme anche ai dettagli più insignificanti del comportamento altrui. È come se la persona camminasse su un sentiero delimitato da un roveto: deve fare attenzione a tenersi a distanza dai bordi, perché le spine sono sempre pronte a graffiarla. E se per sbaglio si avvicina troppo, reagisce come la Mimosa Pudica, una pianta “timida” (o forse permalosa) che se viene sfiorata richiude le sue foglie.
  In realtà l’immagine non è così appropriata come potrebbe sembrare: perché l’aggettivo adatto a questo modo di essere non è sensibile, quanto piuttosto suscettibile. La sensibilità è altra cosa.

Sentire con gli occhi, ascoltare con la pelle

  Vediamo un po’ il suo significato letterale: la sensibilità è l’attitudine a ricevere impressioni attraverso i sensi. È dunque la capacità di cogliere, di percepire. Ma percepire che cosa? Ciò che può farci del male, che può pungerci in qualche modo? Ciò che ci porta a ritrarci per non sentire dolore?
  No. Questo è un modo distorto di usare questa magnifica parola. Perché la sensibilità è una dote non comune, e nel suo senso più alto non ha nulla a che vedere con l’emotività o con l’essere fragili.
  Chi è sensibile possiede invece un’apertura speciale, attraverso cui capta sfumature che ad altri sfuggono. È capace di sentire con gli occhi, di ascoltare con la pelle. Riesce ad entrare in contatto con l’anima dell’altro; si lascia accarezzare da ciò che giunge da piani più impalpabili di quelli in cui bazzichiamo abitualmente. Coglie con facilità la bellezza, la luminosità, le relazioni sottili tra gli esseri e le cose, la qualità dei sentimenti. Sa sintonizzarsi con lo stato d’animo del prossimo, e perciò può toccarlo con dita delicate. È capace di vibrare alle frequenze più alte - quelle che di solito, prigionieri come siamo della pesantezza quotidiana, non riusciamo ad avvertire.
  Così più si è sensibili più si tende ad innalzarsi, a cercare orizzonti puri, a non soffermarsi troppo sulle cose grossolane. E, al contrario di quel che si potrebbe pensare, si diviene in un certo senso impermeabili a ciò che in altre condizioni ci avrebbe abbattuto.

Cosa mettiamo al centro del mondo

  Si dice che le grandi Anime, i cosiddetti “Maestri”, non soffrano più delle bruttezze del mondo. Non è che non le vedano, anzi. Ma riescono a spingere lo sguardo oltre. Sono in grado di capire che dietro a ciò che si mostra poco gradevole, o addirittura intollerabile, si nasconde sempre qualcosa di buono. E che anche gli esseri in apparenza ripugnanti portano in sé – magari ben nascosta da una corteccia tormentata – una fiammella divina.
  Comprendiamo dunque la differenza? Il concetto di sensibilità che ci hanno trasmesso mette al centro del mondo noi stessi, le nostre ferite, le offese e i torti ricevuti. E invece scopriamo che, per definirci davvero sensibili, è necessario spostare la nostra attenzione su un’altra creatura o su un altro frammento del creato.

Maria Antonietta Pirrigheddu
13.01.20

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