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Io sono vivo!

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IO SONO VIVO!

Il senso della vita

  Qualche anno fa andava in onda in TV un simpatico programma intitolato “Il senso della vita”. Una sorta di contenitore durante il quale si cercava di svelare, almeno in parte, quanto intendeva il titolo tramite interviste, filmati, conversazioni semi-filosofiche. Naturalmente anche l’autore sapeva benissimo che non si sarebbe mai arrivati ad una risposta definitiva, nemmeno dopo mille puntate. La provocazione non stava nel trovare un senso alla vita, ma nel dare un senso ad un programma.
  Questo piccolo gioco di parole sembra un nonsense, ma illustra bene ciò che accade quando si cerca una spiegazione a ciò che spiegazioni non ha. Perché certe domande non hanno risposta e allo stesso tempo ne hanno troppe. Possiamo chiederci quale sia, ad esempio, il senso della bellezza? O quello dell’amore? No. Il senso dell’amore è l’amare in sé. Quello della bellezza è godere della bellezza. E il senso della vita è semplicemente… vivere.
  Se tutto ciò ci sembra scontato, proviamo a pensare a quante volte ci ritroviamo a domandarci: «Ma io cosa vivo a fare?». Tuttavia non dovrebbe essere il perché, né tanto meno il quanto, ma il come a doverci interessare e a fare la differenza.

Molti modi di fuggire   

  Vi sono vite piatte, smorte, portate avanti senza scopo. C’è chi fugge dalla vita, chi la sfida per noia, chi ne attende solo la fine, chi vive la vita di un altro. E poi ci sono quelli che si accorgono del suo valore quando la stanno perdendo, quando vedono che si sta accorciando troppo velocemente, e magari si lasciano sovrastare dai rimpianti del tempo sprecato. Eppure anche il rimpianto è una fuga dall’esistenza.
  Ci sono molti modi di fuggire. Vivendo solo sul piano mentale, ad esempio, nella convinzione di conoscere ciò che si è solo intravisto o che è stato raccontato da altri; oppure nascondendo la testa sotto la sabbia anziché guardare in faccia la realtà, perché poco piacevole. O anche dimenticandosi della preziosità del momento presente per restare aggrappati al passato, o per aspettare il futuro.
  Si fugge la vita quando si ricerca un modello esteriore invece di partire alla scoperta del proprio sé; quando ci si accontenta del pensiero altrui evitando di sviluppare il proprio; quando si rinvia la vita ad un altro tempo che si ritiene più propizio. Come quando si rimanda la felicità alla cosiddetta “vita eterna”, invece di credere che sia possibile adesso e che sia un dovere sperarla e realizzarla.

Quando si aspetta la ricompensa nell'aldilà

  In tutti questi casi, fondamentalmente è una cosa a mancare: l’intensità. L’intento di essere davvero, di affermare con forza – anche a se stessi – il diritto di esistere. Troppo spesso dimentichiamo che la nostra anima ha sete di sperimentare l’esistenza in ogni sua possibilità. E ogni volta che ci lasciamo sovrastare dalla paura di vivere, ogni volta che scegliamo l’appiattimento e il grigiore, anche la divinità in noi si ritira.
  Fino a qualche decennio fa era comune l’idea che non si dovesse bramare la felicità su questa terra. Si attendevano le famose ricompense nell’aldilà. «Siamo nati per soffrire», si osa dire tuttora. Forse non potremo mai quantificare gli effetti nefasti di questa mentalità che ancora non è stata sradicata del tutto, quali conseguenze abbia questo sottile disprezzo della vita che, sebbene non percepito, sta alla base di molti atteggiamenti e modi di pensare.
  È comprensibile che attraverso questi squarci, da cui cola via il valore del nostro esistere, penetrino forme alternative di religione. Non è solo la voglia di spiritualità a spingerci a cercare altrove, ma soprattutto la necessità assoluta di celebrare la vita oggi, anziché farla passare in secondo piano rispetto a quella che ci aspetterebbe domani.

È lo scopo a venir meno, non il senso

  Non è il senso della vita a dover essere indagato, ma il senso del nostro agire e sentire. A volte ritrovare il senso corrisponde a cambiare atteggiamento, scuotersi, muoversi verso altre cose, altre persone, altri ambienti. Perché il vero ostacolo sta nel continuare ad essere quel che siamo sempre stati. I sogni sono irrealizzabili solo quando manteniamo immutate le condizioni.
  La vita è cambiamento, è creazione, è relazione e scambio. La vita è incertezza. Non c’è niente di più insicuro del vivere, ed è proprio questa magnifica insicurezza a permettere la crescita.
  È lo scopo a venir meno, non il senso. Il resto lo fa la paura. Sì, la paura di sentire troppo, di essere troppo. La paura contenuta in tutti quei “se” e “ma” che si affacciano di continuo nella mente, soffocando l’istinto di gettarsi a capofitto per sperimentare situazioni nuove e più intense.

Un po' di sana spregiudicatezza

  Ciascuno sfodera i suoi timori in occasioni diverse. Mille tentennamenti sono contenuti in queste parolette che sono sempre le prime a salire alle labbra: ma… se… però… Mille dubbi che frenano i passi e addirittura i pensieri. Temiamo di sbagliare. Vorremmo essere ineccepibili, soprattutto ai nostri occhi. Quanto sarebbe salutare e liberatoria, invece, una certa dose di spregiudicatezza! Certo, parliamo di sana spregiudicatezza: quella possibile solo dopo essersi formati una coscienza integra, che rifugga dal male istintivamente, senza nemmeno stare a pensarci su. Ma poi, posta questa base, sarebbe bello fare amicizia con la possibilità di sbagliare. Anche perché l’errore è un grande maestro. Insegna la tolleranza e la comprensione, mette al riparo dall’orgoglio.
  La sana spregiudicatezza è la condizione di chi non si sofferma a riflettere su tutto con ossessività. È la consapevolezza di essere soggetti all’errore, perché vivi; è la capacità di farsene una ragione. Non ci si può muovere nella vita con i piedi di piombo: non si camminerebbe per molto. La perfezione non fa per noi. E invece quanti sogni e progetti languono nei nostri cassetti, bocciati dalla pretesa di realizzarli in maniera impeccabile?

La vita ci si spalanca davanti ora, qui

  Il motivo è uno solo: temiamo di essere rifiutati dagli altri se non siamo all’altezza delle loro aspettative, se non ci mostriamo abbastanza bravi. Poiché abbiamo preso l’abitudine di valutarci in base ai parametri altrui, esitiamo ad esprimerci. Sappiamo che siamo condannati a deludere sempre qualcuno, eppure non riusciamo ad accettarlo. Così, paradossalmente, la nostra paura più grande non è quella di morire ma di vivere: perché vivere significa in primo luogo manifestare quel che si è davvero. Con le proprie imperfezioni, le proprie grandezze, i propri desideri. I desideri appaiono come buchi da riempire, e invece sono la benzina che ci fa mettere in moto e andare avanti, e a volte correre.
  Ma per farlo abbiamo bisogno di intensità. Vivere con intensità vuol dire lasciar scorrere liberamente la vita dentro di sé, godendo appieno delle sue gioie ma accettando anche gli inevitabili momenti meno felici. Intensità è presenza, partecipazione, focalizzazione, capacità di abbracciare ciò che è. Intensità è la predisposizione a cogliere anziché a fuggire e sfuggire.
  La vita ci si spalanca davanti ora, qui. L’unico requisito per goderne è… la vitalità. Lasciamoci andare alle sue onde senza opporre resistenza, accogliendone ogni movimento con curiosità, chiedendoci dove ci porterà. Ogni giorno può essere diverso. E l’esistenza è piena di sorprese, se è questo ciò che scegliamo per noi. Sarà comunque vano ogni sforzo per contrastarne il continuo fluttuare, che scioglie e riannoda perennemente gli eventi, le relazioni, le occasioni. Quel che districhiamo oggi può riannodarsi domani. Perché non è la vita a dover essere sbrogliata, bensì la matassa del nostro essere.

Ho scelto io di essere qui

  Ogni attimo che trascorro qui, in qualunque punto del pianeta mi trovi, è un istante da me desiderato e agognato prima di nascere. Ho scelto io di essere qui, in questo momento storico e in questo contesto. L’ho scelto con forza, per fare certe esperienze e, attraverso esse, imparare ciò che la mia anima ritiene fondamentale al suo percorso. Perciò non potrei nemmeno lamentarmi delle mie condizioni. Sto “provando”, mi sto sperimentando. Sto assaggiando l’esistenza. Vi sono tante cose alla mia portata: gesti da compiere, parole da offrire, situazioni nelle quali posso fare la differenza.
  La vitalità è quel filo d’Arianna che può condurmi fuori da ogni labirinto. Il primo passo spetta a me, e spesso consiste semplicemente in uno sguardo nuovo. I miracoli li compio io. Come? Rendendomi conto che sono vivo!
Maria Antonietta Pirrigheddu
10.01.20

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