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La scelta di essere

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LA SCELTA DI ESSERE

Mille giustificazioni

  Che cosa mi separa dal vivere un’esistenza non perfetta ma ricca di soddisfazioni? Qual è l’ostacolo maggiore alla mia realizzazione?
Le condizioni di nascita, dirà qualcuno: «Sono nato in un posto dove non c’è nulla, non si vedono possibilità di crescita o di carriera, manca qualsiasi stimolo...»
  La situazione familiare, dirà qualcun altro: «La famiglia assorbe tutto il mio tempo e le mie energie, non posso permettermi di pensare a me stesso.»
  Altri tireranno in ballo la salute, le condizioni economiche, l’età avanzata... La fantasia non manca: in questo campo è più fertile che mai. Una fantasia poco salubre che poggia su abitudini, convinzioni e convenzioni ben radicate. L’abitudine a ciò che è sempre stato – altrimenti detta assuefazione, o anche pigrizia; la convinzione di non poter cambiare – altrimenti detta rassegnazione; le convenzioni e l’adattamento ad uno stato di cose uguale quasi per tutti – e questo si chiama quieto vivere.
  Come ne usciremo?

La consapevolezza non arriva con l’età

  Di due cose abbiamo bisogno per andare oltre questo modo di essere che, inutile dirlo, porta all’insoddisfazione cronica. La prima è la conoscenza di sé e del proprio potenziale. La seconda è la decisione di muoversi e, se necessario, di combattere per sviluppare proprio quel potenziale. E se ci blocca l’idea che occuparsi troppo di sé sia da egoisti e possa togliere tempo e attenzioni agli altri, ricordiamoci che una persona insoddisfatta non è di vantaggio a nessuno. Al contrario, se ne resta fastidiosamente contagiati.
  Il problema della conoscenza di sé è diventato, negli ultimi tempi, un leitmotiv. Non solo ne parlano con dovizia i libri di crescita personale (che grazie al cielo si stanno moltiplicando), ma addirittura ne facciamo argomento di comune discussione. Un argomento che fino a qualche decennio fa non avremmo nemmeno sfiorato, sebbene il buon Socrate ce lo andasse ripetendo da un po’. Eppure è una questione tutt’altro che scontata.
  La consapevolezza non arriva automaticamente con l’avanzare dell’età. Anzi, talora più si va avanti negli anni più ci si fossilizza. Così, anziché perseguire con caparbietà ciò ci compete, è molto più facile agire con ostinazione. La differenza? La stessa che passa tra un difetto e una buona qualità. L’ostinazione è tipica di chi insegue qualcosa senza volersi rendere conto che gli ostacoli che gli si parano dinanzi sono dei chiari messaggi di dissuasione: bada che ciò che stai cercando non fa per te, non ti appartiene. La caparbietà è invece la caratteristica di chi sa cosa vuole, cosa fa parte del suo “piano di vita”, ed è disposto a darsi da fare per ottenerla. Appunto, la differenza sta nella conoscenza di ciò che si può essere, o meglio di ciò che si è. Ma per avere certe risposte bisogna chiedere.

Ribellarsi a ciò che noi stessi abbiamo decretato

  Chi non si pone domande non raggiunge nulla. Piuttosto si imbatte in situazioni ed eventi che paiono casuali. Non si fa domande chi è convinto di avere già capito tutto; chi pensa che il caso, o forse il destino, sia il gran burattinaio che muove i fili della vita umana.
  Talvolta, soprattutto per l’età o le delusioni, pensiamo di non poterci più aspettare alcunché. Ci persuadiamo che la nostra realtà abbia ormai preso una determinata piega e che così resterà, senza scosse né sorprese. Eppure, quando meno ce lo aspettiamo, tutto si capovolge in un attimo. Fino all’ultimo respiro, niente è già stabilito. A meno che non siamo noi stessi a deciderlo, consapevolmente o meno: per rassegnazione, per pigrizia, per stanchezza, per debolezza di carattere. E ci vuole coraggio per ribellarsi a ciò che, pur non piacendoci, abbiamo già decretato.
  Invece, fino all’ultimo istante, possiamo considerare, scegliere, essere. Continuamente. A volte una sola decisione può riscattarne mille altre. Perché ogni giorno è diverso dal precedente, e la novità e il cambiamento sono sempre dietro l’angolo.

La differenza tra rassegnazione e accettazione

  Certo non si può pretendere di piegare le circostanze al proprio volere: non avremo mai il controllo degli eventi. Ma c’è una sostanziale differenza tra l’accettare e il rassegnarsi. L’accettazione ci insegna a lasciarci andare alle onde della vita senza opporre resistenza, ad accoglierne il movimento con curiosità, chiedendoci dove ci porterà; la rassegnazione ci fa soccombere sotto le stesse onde. La prima spinge all’azione; la seconda ci immobilizza nella sfiducia.
  La rassegnazione china la testa di fronte alla fatalità. L’accettazione invita a fluire con l’esistenza, a comprendere che qualunque cosa accada ha senso e significato, ha un’utilità.
  Accettare significa accogliere una determinata esperienza, pur se apparentemente negativa, nella consapevolezza che in quel momento ci è necessaria. Se non altro per individuare che cosa stiamo richiamando nella nostra vita. Significa rendersi conto che nessun avvenimento è causale, ma ha una causa – o una concatenazione di cause – situata nel passato o nel presente, se non addirittura nel futuro. Sì, nel futuro: perché, più spesso di quanto crediamo, le nostre condizioni sono generate da paure o da aspettative verso ciò che ancora non è accaduto.
  Accade anche che le nostre esperienze abbiano origine in ciò che siamo chiamati ad essere. Nel nostro scopo di nascita, insomma, o comunque in ciò che dovremo fare in seguito. E anche questo è situato nel futuro.

Cosa può insegnarmi un impedimento?

  Non possiamo caricare qualcun altro della responsabilità per la nostra mancata realizzazione. Certo, società e cultura attuali non facilitano il nostro sviluppo, tutt’altro; ma sta a noi riconoscere le loro trappole e saltare oltre. Ogni singolo ostacolo ha non solo la sua ragione ma anche la sua funzione.
  Cosa può insegnarmi un impedimento?  Dove indirizza la mia attenzione? C’è qualcosa che sto trascurando e che andrebbe invece disciolto, oppure valorizzato? Lo spirito di un guerriero abita in ciascuno di noi, e queste domande possono resuscitarlo.
  Questo non vuol dire che si debba vivere nella lotta, tutt’altro. Il guerriero è colui che è consapevole del proprio valore ed ha il coraggio di affermarlo. È colui che non conosce l’inutile rinuncia. E sa che gli ostacoli esteriori non sono altro che un riflesso di quelli interiori.
  Tante altre domande potrei pormi.
  Che cosa mi trattiene dall’agire, dal muovermi verso ciò che desidero?
  Come mai seguito a rimandare?
  Perché temo il giudizio altrui? Perché resto impigliato nelle maglie del pensiero comune, delle convenzioni sociali? E se andassi oltre?
 Davvero è la paura del fallimento a frenarmi? E se invece avessi paura di un possibile successo? Cosa potrebbe accadermi se lo raggiungessi, quali responsabilità comporterebbe?
  Non è semplice essere dei vincitori, se non altro perché ci si sente costretti a superarsi continuamente.

Arrampicarsi sul proprio Albero della conoscenza

  Forse una domanda può racchiudere tutte le precedenti: quanto siamo disposti a lottare per il nostro essere, una volta che l’abbiamo scoperto e riconosciuto?
  Può sembrare un paradosso, eppure la forma più alta di pace poggia su questo genere di lotta. E se non ci piace questa parola, sostituiamola con sfida. Non può esservi pace interiore se non si affronta quotidianamente questa battaglia: lo sforzo di “arrampicarsi” sul proprio Albero della Conoscenza, quello che cresce dentro la propria anima, per giungere all’apice di sé.
  È un movimento tutto in salita, è vero. E ad ogni ramo (ad ogni biforcazione, potremmo dire) c’è un momento impegnativo da affrontare, una convinzione obsoleta da abbandonare, una consuetudine a cui rinunciare. Perché in cima si arriva leggeri, quando ci si è liberati dai fardelli.
  Cosa troveremo lassù non possiamo prevederlo. Certo sarà più facile stabilire un contatto con la parte più saggia di noi, quella capace di consigliarci al meglio. Quella in grado di provocare lampi di improvvisa comprensione, di indicarci cosa sia il vero potere personale. Allora sentiremo la necessità di stimolare anche il prossimo a fare altrettanto, spingendolo a darsi da fare per la propria soddisfazione, la libertà interiore, la prosperità dell’essere.
Maria Antonietta Pirrigheddu
01.05.17

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