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Le donne, il matrimonio e i falsi vangeli

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LE DONNE, IL MATRIMONIO E I FALSI VANGELI

C'è Vangelo e vangelo

  Il mio desiderio, come sempre, è capire. Cosa non semplice, date le numerose contraddizioni tra cui ci si deve districare.
  Leggo sempre con passione i Vangeli, nonostante sappia bene che sono stati manipolati e interpretati ad uso e consumo dei potenti di ogni tempo. Tuttavia conservano una forza e un fascino che non è facile trovare altrove. Il problema si pone quando si cerca di far passare per “vangelo” anche gli scritti di san Paolo.
  Non è solo un modo di dire. Il titolo di un libro apparso di recente, “Il Vangelo di Paolo”, è molto più eloquente di quel che si voglia far credere. E non è un caso se l’ultima enciclica dell’attuale Pontefice metta al centro proprio l’apostolo di Tarso, nominando Gesù Cristo solo di sfuggita.
  L’impressione è che si stia cercando di operare una qualche sostituzione. La domanda che mi pongo, come tanti altri credenti, è inquietante: perché? A chi giova?
  Mi si vuol convincere che san Paolo sia stato un grande divulgatore del messaggio di Gesù, ma i conti non tornano. Se si ha il coraggio di mettere a confronto i Vangeli con le epistole paoline, sgombrando la mente da quanto ci è stato inculcato, ci si rende conto che vi sono delle differenze sbalorditive.
  Preferisco non addentrarmi in questioni teologiche, campo in cui san Paolo ha già abbastanza detrattori. A me interessano piuttosto alcuni aspetti di vita concreta.

La donna sottomessa e dipendente

  Un esempio: in quale passo del Vangelo è scritto che le donne debbano restare sottomesse, non prendere la parola nelle assemblee, tacere e obbedire?
  Ecco invece come ci ammaestra San Paolo:
  «La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo: piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo... Perché non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli» (I Tim. 2,11-15).
  E ancora:
  «Capo dell’uomo è Cristo, e capo della donna è l’uomo… Egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo…. Né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza» (I Cor 11,3 - 10).
  Non basta? Ecco qualche altro passo:
  «Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore» (Col 3,18)
  «Il marito infatti è capo della moglie… le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto» (Ef. 5,22-24).
  Tutto ciò potrebbe sembrare un’inezia, in confronto alle altre buone cose scritte dall’apostolo… se non conoscessimo i danni incalcolabili derivati dal suo insegnamento in materia. Proprio rifacendosi a Paolo, una schiera di santi e dottori della Chiesa produsse queste perle:

Per sant'Agostino la donna non è fatta a immagine di Dio

  «La donna non è fatta a immagine di Dio... Corrisponde a giustizia e all’ordine naturale della società che le donne siano serve degli uomini» (sant’Agostino).
  «La donna si rapporta all’uomo come l’imperfetto e il manchevole al perfetto» (san Tommaso d’Aquino).
  «Se gli uomini potessero vedere quel che si nasconde sotto la pelle… la vista delle donne causerebbe solo il vomito. Se rifiutiamo di toccare lo sterco anche con la punta delle dita, come possiamo desiderare di abbracciare una donna, creatura di sterco?» (sant’Odone, abate di Cluny).
  «La donna è male sopra ogni altro male… serpe e veleno contro il quale nessuna medicina va bene... Le donne servono soprattutto per soddisfare la libidine degli uomini» (san Giovanni Crisostomo).
  Curioso osservare che l'attuale papa, nell'udienza del 26 settembre 2007, ha illustrato la grandezza del Crisostomo affermando tra l'altro che «riservava accenti sempre teneri per la donna». Dio ci salvi da tale tenerezza! Forse Ratzinger è convinto che i cristiani non si documentino, e che possa quindi abusare della credulità di chiunque.
  Ma continuiamo:
  «Ogni malvagità è piccola in confronto alla malvagità della donna. È meglio l’empietà dell’uomo di una donna che fa del bene» (sinodo di Tyrnau).
  E queste sono le parole di Enea Silvio Piccolomini, ossia papa Pio II, naturalmente infallibile come tutti i papi:
  «Quando vedi una donna, pensa che sia un demonio, che sia una sorta di inferno».

L'inferiorità femminile non è affatto un precetto divino

  san Paolo di TarsoTempi ormai passati? Neanche per sogno! La concezione femminile di san Paolo continua a condizionare pesantemente il nostro pensiero. Basta vedere il ruolo marginale che ha ancora la donna nella civilissima Italia, soprattutto all’interno della Chiesa cattolica. Ancora nel 1965 l’Osservatore Romano proclamava la “posizione prioritaria” dell’uomo voluta da Dio.
  Eppure non trova alcun fondamento nel Vangelo. Gesù Cristo, infatti, insegnava a non fare differenza tra gli esseri umani. Predicava il rispetto e la considerazione reciproca. Principi che crollano completamente quando si impone alla donna di restare sottomessa, pretesa nella quale è implicita la sua inferiorità.
  In san Paolo non solo la parola del Cristo, ma la stessa Creazione viene vista in un’ottica distorta. Con quali conseguenze?
  In teoria, si ammette l’uguaglianza e la reciprocità di uomo e donna; ma in pratica gli uomini sono da sempre autorizzati dalla religione ad assoggettare l’altro sesso. E oggi, nonostante la tanto proclamata evoluzione, è evidente un’allarmante tendenza a tornare a certi tempi. Questo non fa bene né ai cristiani né alla società in generale. Quali responsabilità ha dunque san Paolo, e soprattutto chi tuttora si avvale della sua catechesi per prevaricare? E come possono le donne cattoliche accettare simili concetti, dimenticando che la loro supposta inferiorità – e quindi la servitù – non è affatto un precetto divino?

Crescete e moltiplicatevi

  Spostiamo la nostra attenzione su un altro innocuo passo delle epistole paoline:
  «È cosa buona per l’uomo non toccare donna… Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io» (I Cor. 7). E ancora:
  «Le vedove più giovani non accettarle perché, non appena vengono prese da desideri indegni di Cristo, vogliono sposarsi di nuovo…» (I Tim 5,11).
  È risaputo che l’apostolo non fu proprio un’anima pura, prima della conversione. Eppure anche su questo tema pose le fondamenta per la patristica successiva:
  «Il matrimonio si fonda sullo stesso atto proprio del meretricio. Perciò la cosa migliore per l’uomo è non toccare alcuna donna» (Tertulliano, padre della Chiesa).
  «Infatti dove c’è la morte, ivi c’è il matrimonio; e dove non c’è matrimonio, non c’è morte» (san Giovanni Crisostomo).
  «Una madre, in quanto sposata, otterrà in cielo un posto inferiore a quello della figlia in quanto vergine» (sant’Agostino, dopo una vita di bagordi).
  «Se qualcuno dice che permanere nella verginità o nel celibato non è meglio e più santo che sposarsi, costui sia scomunicato» (pronunciamenti del Concilio di Trento).
  Evidentemente non avevano mai letto l’indicazione della Genesi: «Crescete e moltiplicatevi»!

L'elogio del celibato

  Naturalmente nel Vangelo non si trova una sola parola contro il matrimonio. Su che cosa si sarà basato san Paolo per scrivere simili amenità?
  Ahimè, sul rigetto, sulla stanchezza, sulla nausea per tutte le malefatte commesse prima della conversione. Per anni si era trastullato con le donne, con se stesso, con la vita del prossimo, finché si era stufato dei suoi giochi. Si era ritrovato a non avere più stimoli. E lì cadde da cavallo.
  Certo è encomiabile che si sia convertito; ma come possiamo basare gran parte della nostra religione su delle reazioni malate? È vero che è stato capace di dire anche cose sublimi; ma noi non siamo stati in grado di distinguere (di separare il grano dalla pula, è il caso di dire), e abbiamo accettato col bene anche il male che ha seminato.
  Ma forse la nostra non è stata mancanza di discernimento. Forse è stata solo una questione di convenienza. Agli uomini, nelle cui mani è il potere da millenni, ha sempre fatto comodo un apostolo che predica la sottomissione delle donne. Quanto all’elogio del celibato… ciascuno tiri le proprie conclusioni. Non è certo un caso se nella Chiesa sia invalso, col tempo, lo sciagurato uso della “castità” obbligata. Chi conosce un po’ di storia sa che i motivi di questa imposizione sono prettamente economici, e quindi poco edificanti. Possiamo dire che anche in quest’ambito san Paolo ha offerto appigli e opportunità.

Gesù non fu figlio del suo tempo

  Ma altri passaggi dei suoi scritti possono riuscire particolarmente utili a chi voglia farne uso:
  «Schiavi, obbedite ai vostri padroni con timore e tremore…» (Ef. 6,5).
  «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio, e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio» (Rom. 13,1-2).
  Non si fa differenza tra autorità e autorità. Pare quindi che qualunque monarca, qualunque dittatore sia costituito da Dio stesso. Anche Hitler?
  “Certe idee sono tipiche di quel periodo”, obietterà qualcuno, “Paolo era figlio del suo tempo”. È vero, ma Gesù non lo fu. Gesù guardava oltre, molto oltre. Ma per alcuni è più conveniente dar retta a San Paolo, sorvolando sugli importuni insegnamenti del Cristo.
Maria Antonietta Pirrigheddu
06.05.08

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