Dai matti e dai bambini
Eventi
DAI MATTI E DAI BAMBINI
Traduzione quasi letterale di un racconto in gallurese di
Maria Antonietta Pirrigheddu
Illustrazioni di Tomaso Pirrigheddu
«Alalampa alalampa, chi muore e chi campa» salutò Battittino levandosi il berretto.
Battittino – così diceva di chiamarsi, dimenticando la “s” per strada – era un giovanotto ammodo e ben educato. Sua madre gli aveva insegnato tutto ciò che aveva potuto, soprattutto a comportarsi bene con il prossimo e a non far danno ad alcuno. A Berchiddone lo conoscevano tutti e, anche se ogni tanto a qualcuno scappava da ridere, si erano abituati al suo strano modo di parlare. Anzi, qualcuno ne aveva addirittura soggezione. Che poi, i discorsi con lui erano davvero pochi: buongiorno e buonasera (o meglio, alalampa alalampa) e poche altre frasi. Di sicuro non si correva il rischio di litigare.
Il fatto è che Battittinu, povera anima, non era del tutto a posto. Francesca, la madre, lo aveva avuto in tarda età; e siccome si dice che le disgrazie non vengano mai sole, dopo poco era rimasta vedova. Così la povera donna si era ritrovata con due croci addosso, anzi tre: una creatura sventurata, il letto freddo e la credenza vuota. Come fosse riuscita a tirare avanti, lo sa solo nostro Signore.
Battittinu era assai cattolico, e andava a messa tutte le domeniche. «Dal tronco esce la scheggia, dalla scheggia il truciolo, quale il padre tale il figliolo»2, diceva facendosi il segno di croce quando entrava in chiesa. Il nuovo parroco, all’inizio, era rimasto stupefatto. Così aveva tentato di porre rimedio e di insegnargli le orazioni in grazia di Dio, ma si era arreso subito.
Anche Mariangela, la padrona del negozietto, aveva cercato di cavargli di bocca qualche parola in più, ma non c’era stato verso. «Se la fame è buona non si trova cattivo alimento»3, le diceva lui porgendole il biglietto della spesa. E da lì non si smuoveva.
Ad ogni modo, anche se era di poche parole e un po’ lento di cervello, era riuscito a farsi voler bene. Così, quando sparì dalla vista per un mesetto, i berchiddonesi cominciarono a preoccuparsi. Nel timore di disturbare, pensarono bene di mandargli a casa proprio don Baingio, per vedere cosa gli fosse capitato.
«Battittino non sta bene», gli disse la madre facendolo entrare nella stanza del figlio. «Il male che gli consuma la testa da quando è nato sta cominciando a dargli fastidio. Possiamo solo sperare in Dio».
Il prete tirò fuori il rosario dalla tasca e cominciò a sgranarlo, sedendosi di fianco al letto. Il malato pareva addormentato e russava forte. Anche Francesca afferrò una sedia e si mise a pregare. Improvviamente, quando ormai erano arrivati al “Salve Regina”, Battittino spalancò gli occhi e guardò fisso don Baingio:
«Cosa avrà voluto dirmi?», chiese il prete mettendo via il rosario.
«E chi lo sa!» rispose la donna, accompagnandolo alla porta. «Magari vi ha ringraziato per la visita.»
Mentre tornava in canonica, don Baingio non poteva fare a meno di pensare alle parole di Battittino. Di quale asino parlava? Non è che si stava riferendo a lui, per caso? Eh no, potevano dirgli di tutto, ma certamente non che fosse un asino! E poi, “soldi in mano”… come se ne avesse tanto di denaro, povero parroco squattrinato che non riusciva a recuperare nemmeno il necessario per riparare il tetto della chiesa… E quei quattro soldi che aveva messo da parte glieli avevano rubati, la sera prima, e non riusciva nemmeno ad immaginare chi potesse essere stato…
Don Baingio passò la notte rigirandosi nel letto, senza chiudere occhio. Quando finalmente prese sonno, sul far del mattino, sognò un uomo che passava davanti al campanile tirando per la cavezza un asino con la bisaccia zeppa di soldi. La povera bestia si rifiutava di andare avanti, ma più si puntava più l’uomo tirava, tra grida e bestemmie.
Il suono delle campane lo fece saltare già dal letto, come se gli avessero gettato addosso un secchio d’acqua fredda. E nel momento in cui poggiò i piedi a terra… gli fu chiaro il sogno. Ecco chi gli aveva rubato i soldi! L’unico che poteva portarli via senza far sorgere sospetti: l’ortolano! Sì sì, proprio l’ortolano. Era arrivato con l’asino carico di fave ed era andato via con un carico più pesante.
Il parroco informò immediatamente il diacono e insieme si precipitarono a casa del ladro. Lo trovarono mentre contava spiccioli sul tavolo, facendone mucchietti uno di fianco all’altro. Il furto non aveva fruttato granché: c’erano solo le offerte di una settimana, e i berchiddonesi non erano di manica larga. Don Baingio si fece restituire il maltolto e, per evitargli la denuncia, si fece promettere che per tutta la stagione avrebbe rifornito la canonica di ortaggi freschi senza farseli pagare. L’ortolano accettò, sebbene a malincuore.
Tornando in chiesa a passo svelto, già in ritardo per la messa, il prete rimuginava a voce alta. «Ma tu guarda questo Battittino! Come diavolo avrà fatto ad indovinare?», ripeteva al diacono.
«Di sicuro ha fatto la spia Nostra Signora», gli rispondeva l’altro ridendo sotto i baffi. «Non stavate forse dicendo il rosario, quando Battittino vi ha parlato?»
«Può darsi. Tu scherzi, e invece può essere davvero così. Però sarà meglio non dirlo a nessuno, perché chissà che ne verrebbe fuori.»
Il giorno dopo si era già sparsa la voce. E come sempre succede, più passava di bocca in bocca più la cosa diventava grossa.
«Il ladro è entrato di notte e ha portato via tutto, anche la croce d’oro dell’altare», raccontava uno al botteghino, facendosi riempire un altro bicchiere.
«Don Baingio è stato aiutato dagli angeli», dichiarava un’altra ferma in mezzo alla strada, attorniata da una dozzina di donne che l’ascoltavano a bocca aperta. «Altrimenti non ce l’avrebbe fatta ad affrontarli, perché erano in tre e pure armati!»
Ma ciò che più destava stupore era il ruolo avuto da Battittino. E di questo tutti erano sicuri: gli era apparsa la Madonna in sogno e gli aveva indicato dove si trovava la refurtiva.
Francesca stentò a capire come mai si ritrovasse la casa piena di gente. Improvvisamente mezzo paese voleva vedere Battittino.
Ciascuno sperava di ricevere da lui un buon consiglio, così com’era accaduto al prete. E magari anche qualche miracolo… chi poteva dirlo? Entravano nella stanza ad uno ad uno, perché c’era poco spazio, con il volto contrito e il cappello in mano, e gli facevano la loro richiesta cercando di non farsi udire da chi era rimasto fuori in attesa.
Non sempre Battittino si degnava di rispondere: il più delle volte seguitava a dormire senza nemmeno sentirli. Ogni tanto però si svegliava e ne sparava una delle sue. Certo non poteva immaginare che ogni sua parola veniva accolta come una sentenza.
«Battittino, i miei figli non hanno voglia di lavorare… come faccio a fargliela venire?»
«Il sole di aprile ti lascia il segno.»5
«Grazie, grazie davvero! Ci penserò su.»
Andando via stringevano la mano alla mamma, che era sempre di guardia alla porta, e se ne presentava un altro.
«Battittino, mia suocera è insopportabile. Come posso tenerla a bada?»
«Gallina che non becca ha già beccato.»6
«Che Dio ti ricompensi» lo salutava l’ospite, lasciando la stanza con gli occhi umidi.
«Battittino, come posso fare con mia moglie che non si avvicina più?»
«Chi raccoglie il miele poi si lecca le dita…»7
«Mah! Che avrà voluto dire?»
Quando la voce si sparse anche nei paesi vicini, in casa di Francesca comparve una cassettina per le offerte. Non si sapeva chi l’avesse messa, ma sarebbe stata una vergogna tirare dritti senza lasciarci cadere dentro qualche monetina. Soprattutto perché si avevano gli occhi degli altri puntati addosso.
I forestieri si mettevano in fila dal mattino presto, quando ancora c’erano le persiane chiuse. La sera alle sette si serrava tutto e si ritirava la cassettina, perché il malato aveva bisogno di riposare. La gente andava via contenta, certa di aver ricevuto un consiglio prezioso anche se per il momento non lo capiva bene.
La cosa andò avanti per sei o sette mesi, finché un giorno Battittino cessò di parlare. Era arrivata la sua ora. Le ultime parole le riservò alla mamma: «Chi nasce asino non muore usignolo»8, le disse col fiato corto. E non aprì più bocca.
I funerali furono celebrati in pompa magna, con la banda e una corona di fiori da parte del Comune. Arrivò anche il vescovo con altri sette sacerdoti, per dargli la benedizione solenne. Sulla tomba fecero scrivere: “Da li macchi e a li steddi si sani li cuseddi”, cioè “Dai matti e dai bambini si sanno tante cosucce”.
Passato un mese, dopo la messa di trigesimo, don Baingio andò a trovare Francesca. La donna era molto addolorata: anche se suo figlio non era a posto con la testa, era sempre stato la luce dei suoi occhi. Il prete cercò di consolarla, e ne approfittò per una bella chiacchierata.
«Ditemi una cosa, che non l’ho mai capita», le chiese ad un certo punto. «Ma com’è iniziata la faccenda delle profezie? È un dono che Battittino ha sempre avuto, o è qualcosa che gli è comparsa da adulto?»
Francesca abbassò il viso. «Ma quale dono, don Baingio…» gli disse lisciandosi la gonna.
«Come no?» insisté lui. «Dicono addirittura che sia stata opera della Madonna…»
«Macché», rispose Francesca arrossendo un pochino per la vergogna. «Lo sa solo Dio da dove è saltato fuori questo pettegolezzo. E mi sorprendo di voi… Possibile che non vi siate mai accorto che parlava senza sapere quel che diceva?»
Il parroco si batté la fronte con una mano: all’improvviso gli era tornata in mente quella conversazione col diacono. Porca miseria, in buona parte la colpa era proprio sua!
«Eppure sembrava molto saggio», replicò cercando di aggiustare un po’ le cose. «Io so che ha dato dei pareri che nemmeno un giudice o un avvocato avrebbero saputo dare!»
«Diceva ciò che gli saltava in mente, poveretto» si lamentò Francesca.
«Ma allora com’è possibile?»
«Il fatto è che ognuno capisce ciò che vuol capire, oppure quel che gli conviene», rispose la donna.
«Don Baingio, è come quando voi fate la predica in chiesa. Davvero pensate che tutti sappiano quel che volete dire? La gente afferra ciò che può o ciò di cui ha bisogno, e poi vi aggiunge del suo. Perché ciascuno le cose le capisce da solo. Anche se al momento gli sembra di non riuscirci.»
«E lo stesso facevamo quando parlava Battittino», concluse il parroco, dandosi un’altra botta in fronte. «Molte volte non ce ne rendiamo conto, ma le risposte le abbiamo dentro. Basterebbe pensarci.»
Calava la sera, e non era corretto trattenersi a quell’ora a casa di una donna sola, anche se si trattava di una persona anziana.
«Levatemi un’ultima curiosità», le disse avviandosi verso la porta. «Ma perché Battittino parlava solo per motti e proverbi?»
«Non vorrei mi prendeste per scema se ve lo dico», rispose Francesca.
«Ci mancherebbe altro!»
«Eh… Dovete sapere che, a parte tutte le altre disgrazie che ha avuto, questo mio povero figlio era pure balbuziente…»
«Davvero?» «Eh sì. Quando me ne resi conto avrà avuto forse due anni. Per spiccare una parola ci voleva un quarto d’ora. Peggio ancora se soffiava vento di levante.»
A don Baingio si strinse un pochino il cuore. Si rimise a sedere. «E dunque?»
«Dunque io avevo sentito che a volte per i bambini con la lingua legata è più facile cantare, perché cantando non inciampano sulle parole. Ma io non ero capace di insegnarglielo: avrei fatto più danni che altro. Allora mi è venuta l’idea di insegnargli i detti e i modi di dire dei nostri antenati. Perché ho sempre l’impressione che suonino come le canzoni…»
«È vero!» disse il prete alzandosi di scatto come se lo avesse morso una pulce. «Non ci avevo mai pensato! Sentite un po’ questa: “Chi non ha niente da fare, il diavolo gliene dà”.9 Oppure: “Chi va ascoltando, dei suoi mali sente parlare”10. O anche: «Sui monti di Alà, mirto e menta verde sta”11. Vabbè, questo non è un proverbio.» Diventò un po’ paonazzo, accorgendosi di ciò che gli stava sfuggendo di bocca. Questa sì, sarebbe stata una bella inciampata per un prete.
«Avete ragione, Francesca, suonano davvero come le canzoni. E anche quando non c’è la rima, entrano nelle orecchie come una musica!»
Lei sentì il petto dilatarsi, come non le accadeva più da una vita. Dunque aveva fatto qualcosa di bello… Tutti quegli anni li aveva trascorsi chiedendosi se fosse stata una buona madre, visto che non le era stato concesso di essere una buona moglie, e se davvero avesse fatto per il figlio il meglio che potesse. E ora aveva ricevuto una risposta, addirittura dal parroco. Allora non era vero che tutte le cose le sappiamo già: qualche volta abbiamo bisogno che qualcuno ce le mostri. Come faceva il suo Battittino. Evidentemente era nato con quel compito.
«Arrivederci, vi aspetto domenica per la messa», la salutò don Baingio. E se ne andò canterellando tra sé e sé.
Francesca gli fece segno con la mano. Si asciugò gli occhi col bordo del fazzoletto e chiuse la porta.
FINE
1. Alalampa alalampa, ca mori e ca campa, ca campa e ca mori... Santu Salvadori!". Filastrocca tradizionale gallurese. Letteralmente: "Alalampa alalampa, chi muore e chi campa, chi campa e chi muore... San Salvatore!"
2. "Da lu truncu esci l'ascia, da l'ascia esci l'asciolu, come lu babbu cussì lu fiddolu". Nella traduzione si perde la rima e l'effetto.
3. In lingua originale: "A bona fami no s'agatta malu riccattu"
4. "Dinà in manu e asinu in funi". Ossia: se vuoi una cosa, tira fuori i soldi subito
5. Nell'originale: "Lu soli d'abbrili poni lu brunchìli"
6. In gallurese: "Gjaddina chi no picca, piccat'à"
7. "Ca scugni lu meli sinni licca li diti"
8. Nell'originale: "Ca nasci asinu no mori russignolu"
9. "Ca no à nudda di fa, lu diaulu nilli dà"
10. La versione originale è più poetica: "Ca l'anda ascultendi, li so' mali intendi"
11. Questo è uno scioglilingua un po' pericoloso: "Illi monti d'Alà, multa e menta 'eldi sta"