La giustizia non è il contrario dell'ingiustizia
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LA GIUSTIZIA NON È IL CONTRARIO DELL'INGIUSTIZIA
Dike, la giustizia nell'età dell'oro
Un tempo Dike, dea della giustizia, viveva sulla Terra. Era l’età dell’oro, l’epoca felice in cui gli uomini non avevano ancora assaggiato la fatica del lavoro, la guerra, la sofferenza. Ma poi arrivò Zeus e tutto cambiò. E Dike, non potendo tollerare l’iniquità, decise di andarsene e di prendere dimora nella costellazione della Vergine. Si dice che fu l’ultima dea a lasciare "la terra madida di sangue”… e possiamo essere certi che non sia più tornata.

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La giustizia più ingiusta
Sebbene ovunque si cerchi giustizia, se provassimo a definirla ci renderemmo conto che non tutti ne hanno lo stesso concetto, anzi. E se volessimo facilitarci il compito ricorrendo al suo opposto, ci ritroveremmo ancora più impantanati. Perché l’ingiustizia non è il contrario della giustizia.
Per il comune sentire, l’ingiustizia consiste nel dare o fare a qualcuno ciò che non merita; oppure nel togliergli o non attribuirgli ciò che è suo. È dunque qualcosa che si subisce, per ignoranza o per motivi ancor meno nobili. Di solito le ingiustizie dettate dall’ignoranza procurano meno danni, mentre quelle commesse per cattiveria feriscono maggiormente e perdurano nel tempo. Ma alla fine l’ignoranza non è più giustificabile della cattiveria, perché si può essere ignoranti solo fino a un certo punto: poi subentra la malafede.
Tuttavia la giustizia non si attua col famoso motto “a ciascuno il suo”, dando all’individuo ciò che merita o che pensiamo gli spetti. Questa è una visione piuttosto limitata, che paradossalmente sconfina nell’iniquità. È impossibile, infatti, stabilire con imparzialità cosa spetti a ciascuno, e tanto meno siamo in grado di riconoscerne i meriti. Quali sono i nostri parametri di valutazione? E quale arco di tempo abbracciano? Non riusciamo a stabilirlo nemmeno per noi stessi! Non si tratta di operare semplicemente un’equa ripartizione dei beni. Come diceva don Milani, «non c’è giustizia più ingiusta che fare parti uguali tra diseguali».
La giustizia non corrisponde nemmeno a quel meccanismo tutto umano che condanna, o assolve, in base a leggi che cambiano a seconda del Paese e della cultura. Quando la richiudiamo entro questi confini diventiamo più che mai ingiusti, se non addirittura crudeli. Eppure è così che pretendiamo di amministrarla.
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Il sole di giustizia che dà a chiunque
In realtà, la vera giustizia è qualcosa di molto più vasto: consiste nel dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno.
Alcuni libri sacri parlano di un “Sole di giustizia”. Infatti il sole, che sparge a piene mani la sua luce, non è simbolo di generosità. Rappresenta invece la giustizia nella sua accezione più alta. Brilla al di sopra dei meriti e i demeriti di chiunque, dando a tutti quel che necessitano: vita, luce, calore. Senza perdersi in valutazioni e distinguo.
Come il sole, una giustizia reale dà cose buone anche a chi apparentemente non se l’è guadagnate, con una liberalità che spinge i cosiddetti immeritevoli a diventare migliori. Non si domanda se un dono o un’elemosina siano dovuti. Non si basa su considerazioni esteriori, ma segue l’impulso dell’anima.
Solo questo atteggiamento può determinare un cambiamento sociale. E solo chi porterà questa giustizia sarà determinante per la società.
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La legge è uguale per tutti... interpretazioni a parte
Tuttavia ci viene richiesto il rispetto della verità. Una cosa tutt’altro che semplice, visto che possiamo solo avvicinarci alla verità, o a qualche parvenza di essa. Non sempre godiamo di una visione chiara degli eventi e delle situazioni. L’ostacolo maggiore che ci troviamo davanti è sempre lo stesso: la convenienza personale.
L’obiettività sfuma facilmente, quando si ha a che fare con se stessi! E così assistiamo al festival delle libere interpretazioni. Ne sono un esempio quegli avvocati che, per un compenso appropriato, sono capaci di difendere qualunque delitto. È soprattutto a causa loro se il famoso monito che troneggia nei tribunali, “La legge è uguale per tutti”, è divenuto quasi una barzelletta.
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Temi e la benda sugli occhi
La mitologia ci propone altre dee della giustizia. Una è Temi - in realtà non una vera e propria dea ma una titanide - che curiosamente è la madre di Dike. Temi ha una caratteristica: è bendata. Gli occhi coperti simboleggiano l’imparzialità, la determinazione a non guardare in faccia nessuno, che si tratti di personaggi altolocati o di gente di umili origini.
Ma noi dobbiamo deciderci a far cadere finalmente la benda dagli occhi. Abbiamo bisogno di vedere il volto delle persone, non per fare favoritismi ma per conoscerne le necessità. Per capire le situazioni in cui si sono trovate, per agire restando nel cuore. Per muoverci con saggezza. Anche la verità, a volte, può essere pericolosa: dipende da come si sceglie di usarla, di maneggiarla. O di rimaneggiarla. Essere portatori di giustizia significa anzitutto insegnare agli uomini a ripulire le proprie azioni dall'interesse personale.
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La necessità di ribellarsi all'ingiustizia
La ribellione alle ingiustizie dovrebbe essere una prerogativa di chi si definisce “civile”. Possiamo avere un temperamento più o meno combattivo, ma nessuno può ritenersi libero dall'impegno di costruire una società più vivibile. Ma in quanti siamo disposti a sporcarci le mani?
In apparenza tutti chiedono giustizia. Ma solo per se stessi. Eppure non esistono cose che non ci riguardano: il male compiuto ci tocca sempre, anche quando appare lontanissimo. Ciò che è fatto a uno è fatto a tutti. Invece è proprio la cosiddetta brava gente a voltarsi dall'altra parte. È l’indifferenza ad aprire la strada a tanti crimini.
Non possiamo reclamare giustizia per noi stessi se, per quieto vivere, non difendiamo chi ne ha bisogno. La prepotenza non combattuta ci rende complici, sempre. Se chi si reputa giusto lo dimostrasse concretamente, pur sapendo che i suoi gesti non sempre avranno l’esito sperato, vivremmo in un posto migliore. Non è sufficiente scuotere la testa di fronte alle malefatte, o indignarsi su Facebook, magari concludendo che non possiamo farci nulla perché non ci sono leggi adeguate. Invece di cercare giustificazioni adoperiamoci per cambiarle, queste leggi! La giustizia non è qualcosa di teorico: appartiene a chi ha la volontà di lottare, a chi è capace di manifestare il proprio disagio, a chi ha il buon senso di cercare le persone e gli ambienti che possano sostenerlo.
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Oltre le leggi umane, la Giustizia divina
Certo, alcune azioni sono irreversibili. Allora l’unico modo per riparare è imparare. E questo vale sia per la vittima che per il carnefice.
Si può sempre scegliere come utilizzare quanto ci accade: anche un’offesa subita può diventare un’occasione per evolvere. Tutto dipende da come si reagisce. Ce ne lasceremo inasprire o la trasformeremo in scuola di vita? Qualunque sia la risposta, vale sempre la pena indagare le cause di quanto ci è successo, perché non sempre si trovano là dove pensiamo.
Non è un concetto facile da mandare giù, ma giustizia e ingiustizia sono mossi da energie che noi stessi produciamo o alle quali abbiamo aperto le porte di casa. Le energie negative che accogliamo, a cui diamo retta, stabiliscono il dominio su di noi. Quando entriamo nel vortice, perdiamo man mano la capacità di rifiutarle…. magari perché ci fanno comodo. Le nostre pulsioni interiori e ciò che attiriamo dall'esterno diventano così un'unica forza che muove azioni, reazioni ed eventi. La nostra debolezza e gli atteggiamenti sbagliati non danneggiano solo il prossimo. A questo punto, o accettiamo il ruolo della vittima o ci diamo il coraggio di fare pulizia.
Oltre le leggi umane, e sovente a ripararne i torti, vige la Legge della giustizia divina. Un meccanismo perfetto che fa sì che da ogni parola, da ogni gesto, addirittura da ogni pensiero scaturiscano delle conseguenze, nel bene o nel male. Ecco come paghiamo i nostri debiti. Una Legge misconosciuta perché, nella fretta che ci caratterizza, ci aspettiamo da ogni causa degli effetti immediati. E se gli effetti tardano concludiamo che ce la siamo scampata. Difettiamo di lungimiranza!
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Lo scopo del rimorso
Talvolta, però, le più gravi ingiustizie le commettiamo nei nostri stessi confronti. Succede ogni volta che ci neghiamo ciò di cui avremmo bisogno, ogni volta che ci priviamo del nutrimento essenziale, anche a livello mentale o emotivo. Accade quando costruiamo prigioni di sensi di colpa e ci rinchiudiamo dentro vita natural durante.
A che serve un rimorso se non può riparare un errore, perché magari è passato troppo tempo? Il suo scopo è quello di insegnarci a non ricadere negli stessi sbagli: imparata la lezione, dovrebbe dissolversi. Invece lo ancoriamo alla memoria, anche inconscia, e gli permettiamo di condizionarci in eterno. Una sorta di ergastolo, una condanna perpetua che un giudice demoniaco emette nei nostri confronti e da cui decidiamo di non affrancarci mai. Non vogliamo amnistia: pensiamo di non meritarla. Così anziché pagare una volta sola, come giustizia vorrebbe, una singola mancanza viene punita all’infinito. E lo stesso trattamento lo riserviamo agli altri.
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L'ingiustizia più grande
C’è infine chi vive avvolto da un altro perenne senso di colpa, una sensazione lieve che permea ogni suo stato d’animo, senza che nemmeno se ne renda conto: la colpa di esistere. Di vivere la condizione di essere umano fallibile. Ci vorremmo perfetti, ammirevoli, elevati, ma non lo siamo perché continuiamo a sbagliare. Il fatto che questa condizione sia condivisa da ogni altro essere umano non ci scompone: noi vorremmo essere diversi, al di sopra. Ci può essere ingiustizia peggiore?
Dalle lontananze celesti, Dike ci osserva. Fino a che non avremo capito l’importanza di trattarci con saggezza, di sicuro non rimetterà piede sulla Terra.
Maria Antonietta Pirrigheddu