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Gli intermediari e la dimenticanza di sé

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GLI INTERMEDIARI E LA DIMENTICANZA DI SÉ

Da una mamma all'altra

  Pensiamo ad un bambino appena nato. Ha bisogno di tutto: di essere nutrito, cambiato, tenuto al caldo e coccolato. Lui ha un solo compito, che assolve in automatico: crescere, ricevendo tutto ciò che gli viene fornito. Man mano che passano i mesi, e poi gli anni, impara a chiedere e a pretendere ciò che gli occorre e, pian piano, a procurarselo da solo. Nel frattempo padre e madre e una miriade di altri personaggi gli insegnano anche le regole dello stare al mondo. È così che si diventa adulti. Almeno in apparenza.
  In realtà non è difficile rendersi conto che l’autosufficienza, per i più, è una pura illusione. La verità è che per tutta la vita non facciamo altro che passare da una mamma all’altra, affidandoci di continuo a quelli che ci vengono indicati come “esperti”. Esperti da cui pare non possiamo prescindere, se vogliamo sentirci pienamente inclusi nella società.
  Vediamo il percorso classico. Una volta svezzati, entriamo nelle mani della signorina dell’asilo; poi in quelle della maestra elementare, e in contemporanea, in quelle del catechista; in seguito i nostri punti di riferimento diventano gli insegnanti delle medie e delle scuole superiori. Compiuti 18 anni o poco più ci convinciamo di essere finalmente diventati grandi, perciò più liberi e responsabili. Invece quello che accade è che continuiamo a cercare genitori e tutori ovunque, affidandoci quasi ciecamente a tutta una serie di figure che incarnano la cosiddetta autorità. È questo che ci viene inculcato, a questo veniamo abituati, questo siamo tenuti ad accettare senza batter ciglio. È come se continuassimo ad aspettare – talvolta con pazienza, altre volte facendo i capricci e pretendendo velocità e attenzioni – che qualcuno venga a nutrirci, a prepararci la pappa, perfino ad imboccarci.

Se hai bisogno di un miracolo...

  Pensiamo ad esempio all’ambito religioso. Vuoi comunicare con Dio? Puoi sempre metterti a pregare, è vero; però se devi dirgli qualcosa di più importante del solito, se hai bisogno di qualcosa di specifico, devi rivolgerti assolutamente ad un sacerdote. È lui l’autorità indiscussa in questo campo, con poteri che a te sono preclusi. È lui che ti metterà in condizione di essere perdonato dall’Altissimo per (quasi) qualunque cosa tu combini. A lui devi ricorrere per avere una benedizione speciale, dimenticando che, in passato, le benedizioni erano piuttosto prerogativa dei genitori e degli avi in genere. È lui che ti mostrerà come decifrare correttamente le Sacre Scritture e i libri dei Padri. Se ti dovesse capitare di non trovarti d’accordo su qualche elemento della dottrina, il tacito accordo sarà che avrà comunque ragione lui.
  Se poi dovessi avere necessità di un miracolo, pare sia disdicevole chiederlo direttamente a Dio: in quei casi si passa attraverso l’intercessione dei Santi o della Madonna. Insomma, non puoi arrivare a Dio da solo: hai bisogno di intermediari.
  Con le debite variazioni, il discorso vale per tutte le religioni costituite.

Il medico, autorità indiscussa

  Analizzando un’altra area dell’esistenza, vediamo che la figura del medico ha l’autorità di prendere in carico il tuo stato di salute, o meglio di malattia, decretando in modo incontrovertibile di cosa hai bisogno per stare meglio. Anche se il suo sguardo fosse veloce e superficiale, come sovente capita soprattutto di questi tempi, tu dipendi da lui in toto e dovrai seguirne le indicazioni alla lettera. Il che va (quasi) benissimo quando hai a che fare con persone non solo qualificate ma anche scrupolose e amorevoli, attente alla tua persona nella sua interezza. Va meno bene quando ti imbatti in dottori frettolosi, magari oberati da una mole di lavoro eccessiva, che devono sottostare a leggi e burocrazie che non tengono conto del benessere del paziente. O, peggio ancora, quando si incappa in professionisti al soldo di qualche Casa Farmaceutica – cosa che accade più di frequente di quanto non si creda. Tu non conti più: l’idea che potresti esserti fatto della tua condizione non ha alcun valore e non verrà presa in considerazione. Sa lui cosa si deve fare, punto.

E infine gli onorevoli

  Per quanto riguarda l’informazione e la cultura, superato il periodo scolastico l’autorità di riferimento è senza dubbio la televisione. La massa tende a non mettere in dubbio una sola parola del telegiornale, pur rendendosi conto che già il giorno diranno cose diverse. Lo stesso vale per i cosiddetti programmi di approfondimento: quel che offre la TV è per molti oro colato. Uno dei tanti modi con cui si abdica al proprio potere di discernimento. Di seguito vengono i giornali e infine i libri: se qualcosa viene stampata e pubblicata, dev’essere vera per forza.
  Che dire invece delle amministrazioni pubbliche, popolate da soggetti “onorevoli” che ci illudiamo di eleggere liberamente? Anche in questo caso sanno loro cosa serve ad una città, ad uno Stato, ad una comunità. Tu, comune cittadino, non puoi e non devi conoscere i reali motivi e i meccanismi che portano un politico a varare una determinata legge o ad approvare un particolare atto amministrativo. Se protesti sei un ignorante, un avversario o addirittura un complottista. Non puoi mettere il naso nei loro archivi – neanche in quelli di un piccolo Comune. Se un amministratore decide di radere al suolo un viale alberato, di concedere il luogo dove vivi in uso ad apparati militari per eseguire "prove di guerra", o per seppellirci rifiuti radioattivi, devi comunque inghiottire il boccone amaro: loro sanno cosa stanno facendo, tu no. Loro conoscono il tuo bene, tu no. Loro costituiscono l’Autorità. E tu torni ad essere quel poppante che si deve affidare alla mamma – o a una balia meno tenera – per poter avere il suo latte.

Dipendenza e interdipendenza

  Ma lasciare che siano sempre gli altri ad occuparsi di noi, in virtù di una supremazia vera o presunta, non è l’ideale. Soprattutto da un punto di vista spirituale, se non ti svezzi non puoi entrare nella società adulta. Se non impari ad accedere alle tue risorse personali e a darti da fare per conto tuo non diventerai mai “grande”.
  Ciò non significa che non si debbano avere dei punti di riferimento, dei modelli a cui ispirarsi, dei maestri di vita da cui prendere esempio. Non significa nemmeno che si debba credere di non aver bisogno degli altri, o che sia possibile slegarsi dal tessuto sociale in cui siamo stati innestati in quanto esseri umani. Ma c’è una bella differenza tra l’interdipendenza e la dipendenza!
  Invece abbiamo l’abitudine di cercare dei capi, dei guru di ogni tipo, che in fondo non sono altro che sostituti di quella madre e di quella maestra elementare ormai perse. Un capo ci dice cosa dobbiamo fare, dove dobbiamo andare, come dobbiamo pensare e addirittura come dovremmo sentirci. E tutto ciò appare assai rassicurante.

La dimenticanza di sé

  Certo, ci sono momenti in cui una fragilità particolare ci porta naturalmente ad affidarci ad un’altra persona. Accade ad esempio quando ci ammaliamo. In quei frangenti abbiamo necessità di fidarci di qualcuno che ne sappia più di noi. Ma anche in quel caso commetteremmo un errore se pensassimo che la responsabilità della nostra guarigione sia tutta sulle spalle del medico.
  La guarigione, per essere completa, deve avvenire su diversi piani. Se non si mette ordine nel proprio marasma interiore, il malanno apparentemente sconfitto si ripresenterà sotto altre forme. Si mette ordine cominciando a comprendere determinate cose fino a quel momento ignorate; decidendo di prendersi cura delle proprie emozioni; scegliendo di immettere nella mente pensieri sani ed efficaci, che vadano a sostituire quelle convinzioni che si sono rivelate nocive. Soprattutto, si mette ordine modificando il proprio sistema di vita. E questo è un lavoro che competo solo a noi: altri potranno sostenerci e porgerci gli strumenti adatti, ma il compito è tutto nostro.
 Ogni malattia, fisica o spirituale, affonda le sue radici nella dimenticanza di sé. Quando rinneghiamo la nostra vera natura, quando ci adattiamo a norme che non ci rispecchiano, quando ci pieghiamo al volere altrui soffocando la rabbia o il risentimento, il nostro corpo grida «NO!». E lo fa a modo suo. Finché quel grido resterà inascoltato, la malattia farà il suo lavoro: cercherà di scuoterci.
  Guarire significa aprirsi alla verità su se stessi. Chi non conosce cosa alberga dentro di sé, nel bene e nel male, vive dentro un guscio di non-essere. Si guarisce quando finalmente si rompe quel guscio e ci si avvia verso la vita piena, riprendendosi la libertà e il potere interiore.
Maria Antonietta Pirrigheddu
06.11.19

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