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Il dogma e il dubbio

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IL DOGMA E IL DUBBIO

Vietato dubitare

   Che cos’è un dogma?
  Possiamo considerarlo una specie di contenitore dove qualcuno ha chiuso a chiave quella che ritiene una verità sacrosanta, appiccicandoci sopra un’etichetta: «Vietato dubitare». Un decreto incontestabile posto a fondamento di una dottrina religiosa, sociale o addirittura scientifica. Qualcosa che non può e non deve essere messo in discussione, pena l’esclusione da una comunità. O, quando va male, la persecuzione fino alla perdita della vita.
  Come si costruisce un dogma?
  In ambito religioso viene plasmato partendo da una presunta rivelazione divina, oppure da una tradizione secolare. Un dogma sociale, invece, viene stabilito in modo ancor più arbitrario da un regime totalitario o da una consuetudine che man mano si cristallizza. Un assioma scientifico nasce - almeno in teoria - da una serie di osservazioni ed esperimenti, e resta in piedi finché qualcuno non ne dimostra l’infondatezza, facendo così crollare il concetto stesso di dogma.
  Come può convivere un dogma con il libero arbitrio e con la facoltà di pensiero?
  Ecco, non può. Perché un pensiero libero pretende, sempre, di esercitare il diritto al dubbio. Altrimenti è un innocuo pensiero allineato. E non serve a nessuno.

La differenza tra dubbio e scetticismo

  Può sembrare paradossale, ma sono i dubbi a tracciare la strada per giungere alla verità, o almeno a un suo frammento. Un uomo che non si fa domande scomode pensa di sapere, ma in realtà si è solo accomodato alla tavola dei luoghi comuni, dove si ingrassa ma non si cresce. Ha relegato in soffitta una delle sue facoltà principali: l’intelletto. Non sente la necessità di rovistare nel cuore delle cose. Accetta supinamente ciò che gli viene proposto o imposto. In poche parole, crede: al Dio disegnato dalle religioni, alle élite scientifiche, alle filastrocche della TV, al politico di turno. Così, pian piano, sprofonda nell’immobilismo. Perché le certezze, soprattutto se predigerite, sono soporifere. Addormentano il cervello.
  Naturalmente il dubbio non può essere fine a se stesso. Quando ne vediamo comparire uno, chiediamoci: da dove proviene? Cosa ci portiamo dietro, indagandolo? Spesso eliminando un dubbio non resta niente. Perché non l’abbiamo trasformato in uno strumento di consapevolezza. Un dubbio può essere paragonato al filo di Arianna: se lo segui con pazienza e tenacia ti conduce all’uscita del labirinto. Se invece lo lasci cadere rischi che il filo si ingarbugli ai tuoi piedi, intralciandoti nei movimenti. È diventato scetticismo.

Chi garantisce la fondatezza di un dogma?

  La mente umana si sviluppa e resta viva grazie alla mancanza di certezze. Ogni nuova conoscenza germoglia in questo terreno.
  Eppure ci hanno sempre insegnato a sentirci in colpa se non abbracciamo alla cieca i dogmi e gli insegnamenti calati dall’alto. Chi osa discutere le verità imbandite dai TG è segnato a dito. A chi mostra diffidenza di fronte ad un parere medico viene detto: «Pretendi di saperne più di lui?». Chi non accetta gli ammaestramenti religiosi viene tacciato di eresia.
  Ma chi ci assicura che un dogma abbia ragione di esistere? Questo è il bello: ce lo garantisce la stessa persona o la stessa istituzione che lo hanno proclamato. Qualcuno stabilisce una verità e allo stesso tempo sostiene che dobbiamo crederci perché è stato lui a dirlo. Un serpente che si morde la coda!
  Ma dentro le spire di questo serpente ci rifugiamo spesso e volentieri, spinti da un innato desiderio di devozione, timorosi di finire all’inferno, impauriti all’idea di restare isolati, incapaci di gestirci in modo autonomo.
  Ogni dogma ha un suo guardiano, uno spauracchio specifico: una punizione più o meno lieve, che va dalla derisione all’esilio in caso di trasgressioni sociali, oppure dalla condanna al purgatorio, fino alla pena massima dell’inferno, quando si sconfina in campo religioso. Al giorno d’oggi queste pene non sono ben definite, ma in passato venivano codificate con precisione: non tanto scaraventando il colpevole in purgatorio dopo morte, quanto decretando anni di penitenza in vita (da scontare vestito di sacco ed esposto al pubblico ludibrio), oppure una certa quantità di denaro da versare alla Chiesa.

Violena ideologica e fanatismo

  Ecco come le religioni organizzate si sono impadronite, nel tempo, non solo dell’anima ma anche di Dio. Un Dio che a quanto pare obbedirebbe a disposizioni e codici stabiliti da uomini. In fondo anche chi concede il perdono divino non sta facendo altro che amministrare – e somministrare – qualcosa che mai potrà appartenergli.
  I dogmi ci chiudono fuori dal paradiso: ostacolano la conoscenza di sé e di Dio, contrastano la scoperta della nostra vera essenza. Conducono al fanatismo, perché impediscono all’uomo di ragionare con la propria testa e lo obbligano a seguire idee altrui. Sono utili alle guerre di religione e agli scontri tra dottrine sociali, ma mettono in catene la spiritualità. Servono a tenere in pugno le masse, ad accrescere il potere di pochi, a rendere schiavi i credenti e gli obbedienti. Ma ora più che mai dobbiamo scegliere se essere dei credenti o degli uomini di fede. C’è una gran differenza!
  Un dogma è una violenza ideologica, e sottintende il fatto che l’uomo abbia bisogno di intermediari per avvicinarsi alle realtà altre. Non dimentichiamo che ancora nel 2006 si parlava di scomuniche e di libri messi all’indice… Anche questo è fondamentalismo. E dove c’è fondamentalismo c’è guerra ed oppressione dei deboli.

Mettere in discussione il proprio credo

  Come possiamo affrancarcene?
  Cominciamo a chiederci, per esempio, quanto in ciò che viene definita “Parola di Dio” sia semplicemente frutto del pensiero del tempo, delle convinzioni o addirittura delle convenienze di qualcuno. Cominciamo a valutare con gli occhi spalancati della coscienza ciò che ascoltiamo e leggiamo, anche nei Libri sacri. La luce che gli stessi Vangeli ci invitano a cercare non ci viene data da altri: può essere scorta solo con l’uso del discernimento.
  Lo stesso vale per qualunque assioma sociale o scientifico. Se non abbiamo le competenze necessarie per valutare da soli, è bene chiedere lumi. Ma non fermiamoci mai ad una sola fonte, perché potrebbe essere inquinata. E comunque non sarebbe sufficiente a dissetarci. Usiamo l’istinto e il raziocinio, prima di bere.
  Certo non è facile mettere in discussione il proprio credo, sebbene sia un qualcosa di acquisito e non sentito. Per farlo dovremmo contestare tante altre cose: il modo in cui lo abbiamo appreso, le forme in cui lo manifestiamo, le debolezze con cui lo rinneghiamo. Perciò preferiamo non allontanarci troppo dalla via maestra. Soprattutto ci interessa mantenere la forma esteriore, perché salvando questa ci illudiamo di salvare tutto. Perpetuando la forma – e la norma! – ci mettiamo al riparo dal rischio del cambiamento. Mostriamo di essere integerrimi, fedeli, inattaccabili. E pure superiori agli apostati.
  Ma questo non farà di noi delle persone migliori. Al contrario, ci chiuderà nel recinto dell’inconsapevolezza.

Muoversi verso la verità senza mai possederla

  Il discernimento è l’altra faccia della libertà. Il Cristo, così come il Buddha e come tutti i grandi Maestri, abita nell’uomo libero e cosciente. Nel suo insegnamento questi concetti ricorrono di continuo. Dio è ovunque e di tutti, non si è consegnato a nessuna Chiesa perché quest’ultima gli faccia da tramite presso gli uomini. E la pretesa di rapportarci con Lui a tu per tu non è presunzione ma assunzione di responsabilità.
  Adagiarsi sui dogmi, permettendo ad altri di pensare per noi, corrisponde a perdere il proprio essere. Il desiderio di allontanarsene non è mancanza di fede ma il primo gradino verso la crescita personale.
  Il dubbio è la ragione dei forti, è il principio dell'intelligenza. Chi è forte usa il dubbio per cercare la verità. Non sempre riuscirà ad intravvederla, è vero; ma ciò che conta è la volontà di indagare. Intanto farà fede ciò che sente nel profondo: perché solo il sentire può dare un fondamento al credere. Ecco perché si guarda bene dal condannare chi non la pensa allo stesso modo. Sa anche che la sua stessa visione sarà sempre suscettibile di modifiche, perché la verità non si concederà mai a nessuno: né agli individui né alle istituzioni, né a letterati né a scienziati. Troppi sono i suoi volti, infiniti i suoi riflessi. Non possiamo possederla ma solo muoverci verso di essa. Ancora una volta, il senso non sta nella meta ma nel viaggio.
Maria Antonietta Pirrigheddu
19.01.21

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