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La libertà del Minotauro

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LA LIBERTÀ DEL MINOTAURO

Il Minotauro, un uomo nel labirinto

  Asterione, chiamato anche Minotauro. Immaginatelo. Un essere possente, dal corpo di uomo e la testa di toro. È sano e forte, non può essere sottomesso; si muove come preferisce, perché non ha catene; ha a disposizione uno spazio vasto, nel quale può camminare all’infinito.
  Una creatura libera, dunque? Tutt’altro. Il luogo in cui abita ha dei limiti di cui forse non è nemmeno cosciente: è un labirinto. Passaggi obbligati, incroci che inducono all’inganno e la possibilità di girare in tondo senza giungere mai da nessuna parte. L’illusione di percorrere una strada rimanendo invece sempre fermi.
  Cosa vi fa venire in mente? Il povero Minotauro somiglia molto all’uomo moderno, vero?
  Tuttavia il labirinto non è la sua vera prigione. Il suo limite è un altro, molto più evidente e paradossalmente non percepito, almeno da lui. La vera prigione è la sua testa di toro. Le sbarre ce l’ha in testa.

Siamo davvero padroni di noi stessi?

  Molti individui ritengono di essere padroni delle proprie idee e convinzioni, di esserseli creati da sé. Sono certi di essere liberi. Eppure quasi mai escono dai percorsi tracciati dalla mentalità sociale, o meglio da chi la determina. Il Sistema li tiene incarcerati. Lo fa in modo soft, distraendo le sue vittime con mille artifici, plasmando i cervelli senza che i loro proprietari nemmeno se ne accorgano.
  Il MinotauroAlcuni di noi non stanno più al gioco, certo. Da tempo cerchiamo di svincolarci dai luoghi comuni, dall’omologazione, dalle nozioni che ci vengono presentate come verità indiscusse. Abbiamo capito che il dogma non appartiene solo alle religioni costituite: viene professato anche dalla scienza, dalla storia ufficiale, dalla politica. E un dogma è sempre una coltre stesa per coprire qualcos’altro.
  Ma, mentre ci adoperiamo per abbattere le prigioni esteriori, ci succede di cadere in altre trappole, forse più subdole delle prime. Quante volte, ad esempio, ci lasciamo tenere in pugno dagli istinti più bassi, da impulsi incontrollati, da paure di ogni tipo? Quante volte ci sentiamo braccati da desideri di rivalsa, o dalla brama di vendetta, o dalla necessità di “dimostrare” qualcosa agli altri?
  La libertà primaria, la madre di tutte le libertà, è quella di pensiero. Eppure ne godiamo raramente: la maggior parte di noi l’ha buttata via fin dall’infanzia, e non si è preoccupata più di tornare a cercarla. Non sa nemmeno di non possederla. La testa taurina domina, ma non ci sono specchi nel labirinto umano.

I nomi dei guardiani

  Asterione non ha guardiani. Chi gli impedisce di scappare dalla sua dimora? Di fatto nessuno. In realtà è lui stesso il guardiano. Ed è anche il labirinto.
  Così è per la maggior parte di noi. Non è facile fuggire dai meandri della mente: giriamo di continuo attorno ai limiti dei nostri stessi pensieri. Proprio come il Minotauro, che le idee nuove, le idee fanciulle, se le mangia. Le divora.
  Ci lasciamo trattenere dalla convinzione di essere impotenti, di essere solo dei “piccoli” esseri umani, sballottati sulla terra senza un vero motivo, alla mercé di chissà quale dio che gioca con le nostre esistenze. Ci sono le abitudini, sovente messe al comando. C’è la schiavitù dei sensi di colpa. C’è l’attaccamento alle opinioni. C’è il rifiuto a prendere coscienza di ciò che apparentemente non ci conviene, di ciò che cozza con le nostre convinzioni. C’è la paura del giudizio. C’è l’incapacità di scegliere, quella tendenza a lasciare che siano altri a decidere per noi, a delegare ad altri il nostro potere. C’è l’ansia per il futuro. Qualcuno si lascia immobilizzare dalla paura del fallimento; altri dal timore del successo. C’è la smania di controllo, in parte imposta da uno stile di vita che nemmeno ci siamo scelti. C’è il desiderio di manovrare gli altri e gli eventi. Ci sono le aspettative e le dipendenze.

Il coraggio di uscire fuori

  Sono questi i nostri carcerieri, tanto più insidiosi quanto più li neghiamo. Agiamo sotto l’occhio vigile di sentinelle che non ci lasciano uscire dalla nostra fortezza invisibile, di cui si accorge più facilmente chi guarda dal di fuori. Così ci ritroviamo ad essere allo stesso tempo il carcerato, il secondino e la prigione. E la libertà diviene anzitutto la capacità di superarsi, di uscire dai propri confini – o meglio da ciò che crediamo tali. Confini che accettiamo di buon grado, perché ci danno l’illusione della sicurezza. Spesso non si è liberi per vigliaccheria: la libertà presuppone il coraggio.
  Per sfuggire alle pressioni interne o esterne, il pensiero deve avere la forza di librarsi al di sopra del labirinto. Ma come può prendere il volo, se si lascia trascinare da mille correnti diverse? A meno che non provenga da una mente davvero illuminata, il pensiero può sempre essere contestato. Non si può avere la certezza di essere nel giusto, quando si pensa.

Divide et impera

  C’è invece qualcosa che non è contestabile: ciò che si vede. Ossia quel che si sente, che si tocca, che si constata. Naturalmente non è l’occhio fisico a vedere davvero, ma l’occhio dell’anima. Parliamo di quella capacità di sentire in profondità, di percepire oltre i sensi, oppure con tutti i sensi nello stesso istante. Parliamo di quella “vista” che implica la sintonia tra anima, cuore e mente.
  Le nostre componenti hanno l’esigenza di esprimersi e di comunicare tra loro. Il cuore deve interagire con la mente e con l’anima; la mente ha bisogno di dialogare col cuore e con l’inconscio; la coscienza vuol farsi sentire e sapere di essere ascoltata. Anche l’ego ha i suoi diritti: se gli togliamo la possibilità di farsi sentire, di dire la sua, ci si rivolterà contro. Lo si può ammansire concedendogli la parola, così da incanalarlo per la giusta via.
  Se l’espressione interiore viene negata, tutte le altre forme di libertà sono un’illusione. Perché l’uomo è libero quando è se stesso. È libero quando è padrone di se stesso. E lo diventa solo se acquisisce la facoltà di essere obiettivo, di valutare, conoscere, capire fino in fondo. Una condizione che non può raggiungere se dentro di sé c’è la guerra.
  «Divide et impera», si diceva anticamente. La frammentazione di un popolo, si sa, apre la porta ai tiranni. E lo stesso fa la scissione interiore. Se un individuo è diviso in se stesso, forze esterne potranno infiltrarsi e stabilire il proprio dominio, togliendogli la libertà di decidere ed agire da sé. Non per nulla la parola “diavolo” deriva da diaballein, che significa “dividere”. E il Minotauro è un essere diviso a metà.

La libertà ha bisogno di consapevolezza

  Ecco perché non potrà mai lasciare il labirinto, almeno non da vivo, ossia finché conserva quel corpo mezzo animale e mezzo uomo. La libertà ha bisogno di consapevolezza. È l’armonia tra cuore, mente e anima a dare chiarezza di visione, così che si possa scegliere come e quando agire.
  Perciò non ci si libera finché non si cresce. E, paradossalmente, l’essere liberi aiuta a crescere. Perché la libertà è un invito ad esplorare tutti gli angoli dell’esistenza, senza remore o tabù. Certo non consiste nel fare quel che pare e piace: non si può prescindere dalle regole della vita, che sempre presenta il conto. La libertà interiore, al contrario, insegna in primo luogo a non andare contro la Giustizia Universale, a non incorrere nelle sue condanne. Eppure consente all’uomo di dire e fare ciò che davvero sente, perché niente in lui lo contrasta, niente fa da zavorra.
  Libertà è il sentirsi leggeri. È il sapere che i piedi non sono ancorati al suolo, che si ha sempre la possibilità di levarsi in volo. Che si ha il potere di innalzarsi. È la decisione di abbandonare a terra le spoglie animali e tutto ciò che non ci appartiene, per manifestare finalmente il vero sé.
Maria Antonietta Pirrigheddu

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